Dopo il primo articolo di riflessione rispetto alla vertenza del Bosco Ospizio, pubblichiamo un secondo contributo che, sempre prendendo spunto da questa lotta cittadina, prova ad analizzare alcuni dei nodi politici venuti alla luce dopo tanti anni di battaglie ambientali e relativi comitati.
di Daniele Codeluppi
“Scrivo queste righe per condividere alcune riflessioni nei giorni in cui un'altra vertenza ambientalista, quella del bosco Ospizio entra nel vivo nella nostra città. In questi ultimi anni spesso sono stato simpatizzante di comitati ambientali, altre volte ho partecipato direttamente ed alla luce degli esiti spesso negativi di questo tipo di mobilitazione provo a stimolare alcuni ragionamenti che da tempo mi girano nella testa.”
Nell'ambito giuridico/ambientale per opzione zero si intende la non attuazione di un piano atto a modificare un'area naturale o di interesse comunitario interessata da progetti edificatori, urbanistici ed industriali. La maggior parte dei comitati italiani sorti a difesa di aree interessate da piani di questo tipo si attivano avendo questo obiettivo, ovvero la rinuncia dell'attore, sia esso pubblico o privato, a procedere con il progetto. Reggio non è da meno e negli anni decine di comitati ambientali si sono misurati e scontrati con questo approccio.
Alcune situazioni note che meritano di essere ricordate: Park Vittoria, impianto Forsu di Gavassa, riqualificazione di viale Umberto 1, Conad di via Luxembourg, Parco del Quinzio, Bosco di Baragalla, tangenziale di Fogliano. Oggi la situazione si ripete nella zona di via Emilia Ospizio dove i cittadini si oppongono alla costruzione di un supermercato e di una casa di comunità nell'area precedentemente occupata da strutture pubbliche ed ora interessata da un rimboschimento spontaneo.
Mediamente questi progetti rispondono a logiche speculative che tendono ad occupare suolo vergine mitigando l'impatto con opere compensative previste dalla legge. Una legislazione in materia urbanistica che in tutta Italia, ed in Emilia Romagna particolarmente, è decisamente favorevole agli interessi dei costruttori e scomoda per chi questa attività tende a contrastarle. Gli stessi comitati denunciano iter burocratici lunghissimi che rendono poco visibile l'opera fino al suo palesarsi, momento in cui poi è tecnicamente tardi per un cambio di rotta istituzionale. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, un territorio fortemente degradato, con suoli impermeabilizzati soggetti ad allagamenti se non catastrofiche alluvioni. Per non parlare del malfunzionamento di città piene di case tenute vuote a discapito di tante famiglie in difficoltà abitativa.
Il rapporto di forza pende sempre a favore del costruttore o dello speculatore a scapito delle comunità che pagano il prezzo di questa mala gestione del territorio.
-Rompere il ciclo-
Penso sia giunta l'ora di aprire un dibattito, tra chi ha attraversato questi anni di battaglie, sull'opportunità o meno di reiterare in eterno il ciclo legato alle battaglie ambientali reggiane, ovvero opzione zero/sconfitta/rancore.
Eh sì perché questo succede, lo abbiamo visto e praticato da sempre, ad ogni palesarsi di un progetto sbagliato nasce un comitato che attiva decine, se non centinaia di persone, producendo dinamiche assembleari informative, convegni con esperti, produzioni di montagne di controdeduzioni e relazioni, vibranti manifestazioni ed il regolare senso di frustrazione nel vedere il cantiere di turno procedere inesorabile. Il rancore come esito non è auspicabile, la vittoria richiede una prospettiva di alleanze non di inimicizie.
Una dinamica questa che dilapida un tesoro immenso di conoscenza condivisa e disponibilità all'attivismo civico generate direttamente da ogni singola battaglia, perse per sempre alla fine del ciclo. Per poi ripartire in pochi e da zero nel nuovo comitato che dopo un anno o due nasce a pochi chilometri per fermare un altro sciagurato progetto.
Per il bosco Ospizio, a parte un poco probabile ripensamento di Conad, proprietario dell'area, il destino parrebbe compromesso e l'assessore di riferimento ha già dichiarato il processo in fase avanzata e quindi irreversibile. Su quest'area si concentrano inoltre gli interessi di un altrettanto grande fetta di popolazione che da anni chiede la casa di comunità, anch'essi obiettivi da rispettare.
-Soluzioni?-
La soluzione si troverà insieme, tra tanti e tante come sempre. Questo è un punto fermo.
Alcune tracce di discorso meritano però essere perlomeno tenute in considerazione.
Partiamo da alcune contraddizioni che la forma comitato esprime, il rapporto con l'istituzione.
Nel ripetersi della vita di un comitato ambientale una delle prime mosse è quella del consiglio comunale aperto seguito da mozione popolare e per le situazioni con più disponibilità economica ricorso al Tar e consiglio di stato. Molto utile la prima a sviluppare temi, approfondire punti di vista e rendere palesi le posizioni. Più ingessata la mozione popolare, solito passaggio scontato per un odg scritto e volutamente irricevibile per le maggioranze reggiane, utile a dare una spolverata di ambientalismo, con tanto di applausi dagli spalti, alle poco credibili opposizioni di destra.
Ma perché cercare sempre lo scontro con l'istituzione, in questo caso consiglio comunale e amministrazione, e non prendere mai seriamente in considerazione il fatto di entrare in esse. Voglio dire, a che serve farsi asfaltare tutte le volte rimarcando ogni volta la propria marginalità nelle assemblee elettive. Se è vero che le nostre posizioni sono giuste, ragionevoli e praticabili perché non trasformare questo impulso in un progetto politico capace di vedersi maggioranza e governo della città?
Siamo lontani anni luce dalle prossime elezioni amministrative, quindi con tutta serenità, perché non farci un pensierino. Chi meglio di un consigliere o assessore proveniente dai nostri mondi può essere capace di intercettare lo scempio ambientale e disinnescarlo per tempo. Perdere con dignità serve solo a rinsaldare le nostre zone comfort, definire identità rancorose ed a sventolare una supposta superiorità morale utile a poco, non certo per il successo delle nostre istanze.
-Sindacalismo ambientale-
L'opzione zero è la più bella, è la vittoria per definizione. È l'ipotesi per cui si attivano i cervelli, i cuori ed i muscoli per l'azione. È l'ideale per eccellenza. È l'essenza del far politica. Chi ha provato questo risultato almeno una volta sa che è ogni volta una piccola e parziale genesi di un pezzo del mondo che vorremmo. Noi ci battiamo sempre per la vittoria, questo è sicuro.
Ma il pieno successo, anche di una piccola vertenza raramente avviene, spesso è la sconfitta e talvolta arriva un esito contraddittorio.
Non sarà certo un bosco urbano a salvarci dal cambiamento climatico globale e quindi una sconfitta non giustifica la rinuncia alla battaglia, che per proseguire deve darsi una forma organizzativa più avanzata rispetto al comitato di scopo.
Perché non concepire al fianco della battaglia principale anche un piano di contrattazione, una sorta di sindacalismo ambientale?
Non potrebbe questo evitare lo scoramento collettivo e l'inevitabile sconfitta permettendo alla mobilitazione di passare la nottata salvando attivismo e radicamento territoriale? Un quartiere ed i suoi abitanti vivrebbero, nonostante tutto, l'orgoglio di aver portato a casa qualcosa, mica poco di questi tempi. Una battaglia ambientale che produca un ridimensionamento di un'opera sbagliata permetterebbe continuità organizzativa ed il superamento del modello “comitato” non più utile.
-Superare la forma comitato-
Il comitato si sa è una forma organizzativa temporanea legata ad una vertenza. Nasce, brilla e finisce il tempo che dura la controversia. Il comitato nonostante sia attivato da una maggioranza di cittadini che vivono in prima persona l'impatto di un progetto non ha sempre la stessa forma. Semplici cittadini, vecchie glorie dell'ambientalismo locale, associazionismo e soggetti politici organizzati spesso si trovano a convivere all'interno del comitato. Soggetti animati dall'obiettivo comune di contrasto ad un'opera, ma talvolta anche portatori di interessi singolari. C'è chi vede nella vertenza anche la possibilità di avvicinare nuovi simpatizzanti al proprio gruppo, o ampliare la propria base elettorale se si parla di partiti, altri soggetti semplicemente per uscire dalla solitudine che un contesto storico ostile alle forme collettive li relega. Penso che sia tutto legittimo se la pratica è trasparente e volta alla cooperazione, ma non basta più.
Le nuove forme di vita politiche dovranno portare in dote grandi capacità di includere, valorizzare ed accompagnare. Superando i vecchi cliché delle alleanze o cartelli di scopo. Queste forme dovranno ricercare il comune tra i tanti e misurare la radicalità nel risultato concreto e non nella comunicazione social delle proprie proteste. Non esiste la lotta monodimensionale, l'ambientalismo deve avere contezza della questione sociale e viceversa.
Ci vuole tempo, il gradualismo negli obiettivi non è dettato da una qualsivoglia mitezza ideologica, ma piuttosto l'avere sott'occhio la situazione materiale della nostra città. Grandi fasce sociali, per esempio la terza età, vede ancora nei centri commerciali e supermarket luoghi della socialità dove rifugiarsi da una solitudine dilagante. Nonostante le piste ciclabili di anno in anno migliori, la popolazione reggiana in età produttiva preferisce ancora l'utilizzo dell'auto per spostarsi sacrificando decine di ore a settimana imbottigliati nel traffico piuttosto che scegliere la bici. Questi due semplici esempi rappresentano abitudini che vengono da lontano, e necessitano altrettanto tempo per essere scardinate. Dichiarare una cosiddetta guerra tra poveri è da evitare, dobbiamo trovare amici e non competitors.
-Coraggio amministrativo-
Un'amministrazione locale oggi è schiacciata dagli interessi economici dei costruttori, definanziata nei servizi essenziali da un governo centrale autoritario e ricattata dal “sistema PNRR” che poco spazio lascia a pianificazioni oculate. Un ente locale di solito viene ritenuto il solo responsabile di scelte sbagliate, facendo passare sottotraccia la grande responsabilità dei grandi attori privati e l'indifferenza civica di tanti concittadini.
Il coraggio di un'amministrazione si misura non solo nelle azioni concrete di contrasto dell'aggressività dei processi economici e finanziari che operano sul territorio ma anche nella capacità di ascolto, valorizzazione e messa a sistema delle spinte innovative che provengono dalla società. Solo così un ente locale potrà essere riferimento degli interessi generali e riscoprire la sua funzione storica che nella nostra città ha segnato per varie decadi un passato municipalista glorioso. Solo così si potrà arrestare il rancore, meccanismo utile a creare antipolitica e ostilità malriposta, regalando tanto credito a quella politica che ci vuole muti, divisi ed impauriti.
Il ddl sicurezza voluto dal governo Meloni è fatto per mettere una pietra tombale all'agibilità democratica ed al diritto di protesta, l'impatto è imminente. Facciamoci trovare uniti e perché no, riscoprire gli enti locali come strumento democratico per difenderci.
Caro Daniele,
rispondo al tuo articolo uscito pochi giorni fa su "lineareggiana" perchè essendoci conosciuti di persona, (e dunque avendo testato reciprocamente convergenze e divergenze), credo possa essere utile riflettere insieme.
Procedo per punti;
l'assemblea bosco ospizio non fa dell'"opzione zero" l'unico suo scopo; ciò probabilmente sarà stato vero nelle altre vertenze che richiami (che ho seguito non tutte, e non con la stessa precisione). In tutte le sue uscite formali (petizione change.org, consiglio comunale aperto -cca-, proposta di delibera comunale che sarà votata il 2 dicembre) l'assemblea ha manifestato per ottenere una sospensione del P.R.U. così¬ come è¨, e la discussione autenticamnte partecipata di un piano alternativo non precostituito da nessuna parte.
Questo precisa il contenuto della mozione, a…