La cultura popolare è sempre stata carica di politicità, è nella sussunzione e nella mercificazione capitalistica che la politicità perde ogni valenza vedendone mutato il proprio carattere. Su ciò vogliamo iniziare a portare un ragionamento perché la lotta, nel presente, necessita anche del recupero della carica sovversiva della cultura popolare.

Di Simon
Da alcuni mesi stiamo organizzando il Carnevale Popolare a Reggio Emilia. Durante il percorso ci siamo fermati più di una volta per chiederci cosa possa significare un’iniziativa come questa in un mondo segnato dalle guerre e dalla crisi climatica in corso. È ancora possibile immaginare il carnevale in un mondo in fiamme? Ci siamo chiesti se non fosse meglio dedicare questo tempo ad altre forme organizzative; spostare la nostra attenzione a forme di mobilitazione più mirate.
Questi dubbi ci hanno permesso di riflettere sui significati più profondi del percorso, facendone emergere la valenza politica, con l’idea che diverse espressioni politiche non siano necessariamente in dicotomia si possono completare e consolidare, riconoscendosi in un comune.
Innanzitutto momenti come questi aiutano a rafforzare i legami di prossimità in un momento storico in cui il tessuto sociale è sempre più sfilacciato. Una forma di ricomposizione che restituisce la capacità collettiva di pensare e fare insieme; un invito a uscire dalla solitudine per scoprirci comunità in divenire, riconoscendosi in modo reciproco nelle differenze e così disinnescando il tentativo di mettere l’una contro l’altra.
Sono momenti importanti per tornare a vivere gli spazi pubblici insieme e per riscoprire la nostra potenzialità come soggetto trasformativo; le piazze sono piazze e i parchi sono parchi perché li animiamo insieme, non esistono a prescindere ma li creiamo attraverso il nostro modo di abitarli.
Infine, in un mondo che a volte sembra smaterializzato queste sono occasioni per tornare ad essere corpi tra altri corpi, riscoprendo così anche la nostra interdipendenza, come presupposto per una società che si basa sulla cura collettiva. Con le parole della rapper Kae Tempest “There is so much peace to be found in peoples faces”.
Ma quest’anno, oltre i significati che abbiamo riscontrato nei primi tre anni in cui abbiamo organizzato il Carnevale popolare, ci sono alcuni temi che non solo stanno trovando spazio nel dibattito pubblico ma anche impattando sulle nostre vite, che quindi danno un valore implicito diverso all’iniziativa e che qui vorremmo far emergere.
Il tema della sicurezza negli ultimi anni ha occupato uno spazio sempre più grande nei media ed è diventato il primo punto di quasi tutti programmi politici, creando un’egemonia culturale della destra nella società. Abbiamo visto come una parte sempre più grande della popolazione è stata spinta ai margini per poi essere criminalizzata e usata per raccogliere facili consensi in una società mossa dalla paura. Un tema che da un piano internazionale passa attraverso quello nazionale con una forte ricaduta anche sui territori.
Su un piano nazionale lo vediamo cristallizzarsi con il Disegno di legge Sicurezza, ribattezzato nelle mobilitazioni il “Ddl Paura”. Una legge che se approvata restringerebbe ulteriormente gli spazi della democrazia rafforzando il carattere autoritario e repressivo dello Stato. Sul un piano locale si sente l’eco di queste politiche con la recente istituzione di zone rosse a Reggio Emilia, politiche che decidono di affrontare una questione sociale con l’ordine pubblico criminalizzando la parte più vulnerabile della popolazione attraverso la militarizzazione del territorio.
Di fronte a questa situazione percorsi come il Carnevale Popolare possono mettere in evidenza un’altra forma di sicurezza. Invece che un’idea di città esclusiva e espulsiva possono far emergere una città che crea sicurezza attraverso le relazioni solidali e l’occupazione collettiva di spazi pubblici. Un momento per vedere che le nostre fragilità quando messe insieme possono essere una forza, che quella insicurezza che viviamo da sole è dovuta soprattutto a una precarietà lavorativa ed esistenziale, con la difficoltà di fare quadrare i conti, di trovare una casa dove abitare, di avere una visita medica in tempo e avere i mezzi necessari per sostenere noi e le persone che amiamo.
Sul tema della sicurezza, istigata dal governo, anche l’estrema destra e i fascisti di strada trovano uno spazio in cui cercare di riproporsi nella nostra città.Come raccontato in questi giorni, gruppi di fascisti organizzati come Casapound e Rete dei Patrioti stanno organizzando un’iniziativa per il 29 marzo in cui si immaginano di manifestare contro “degrado, spaccio e violenza” nella zona della stazione.
Oltre all’evento in sé è importante usare tutta la nostra intelligenza e creatività collettiva per evitare che queste organizzazioni, con il loro odio e la loro violenza si insedino nella città e anche il Carnevale Popolare, come tante altre iniziative simili, può aiutare a togliere i presupposti su cui loro cercano di innestarsi.
Con le parole di Judith Butler, dovremmo cercare di andare oltre l’indignazione e non essere solo reattivi verso la deriva autoritaria che caratterizza il nostro tempo: “Sebbene ci siano tutte le ragioni per essere indignati, non possiamo lasciare che questa indignazione ci sommerga e paralizzi il nostro pensiero. Perché questo è il momento di comprendere le passioni fasciste che alimentano questa sfacciata presa di potere autoritario”, e quindi la necessità di “…trovare passioni nostre: il desiderio di una libertà condivisa equamente; di un’uguaglianza che realizzi le promesse democratiche; di riparare e rigenerare i processi vitali della Terra; di accettare e affermare la complessità delle nostre vite all’interno dei nostri corpi; di immaginare un mondo in cui il governo sostenga la salute e l’istruzione per tutti, in cui tutti possiamo vivere senza paura, sapendo che le nostre vite interconnesse hanno ciascuna uguale valore.”
Quindi sì, infine, dopo aver condiviso i nostri dubbi pensiamo che si possa organizzare il Carnevale anche in un mondo in fiamme e rileggendo la storia del carnevale troviamo un fenomeno tutt’altro che pacificato. Un momento tante volte sovversivo in cui, proprio come suggerisce il titolo del Carnevala Popolare di quest’anno “sottosopra”, venivano sfidate le norme e le gerarchie vigenti, sostenendo a volte delle vere e proprie rivolte delle classi subalterne. Come si legge in “Storia della gioia collettiva” della femminista Barbara Ehrenreich: “Quale fosse la categoria sociale in cui eri stato inquadrato – maschio o femmina, ricco o povero – il Carnevale ti offriva l’occasione di evaderne”.
Quindi invitiamo tutte e tutti di evadere insieme, creando una giornata di gioia collettiva, sabato 1 marzo dalle 15.00 al Parco delle caprette.
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