L’UNITÀ ANTIFASCISTA
- Admin#
- 3 giorni fa
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Durante la "campagna di marzo" sono state parecchie le discussioni e le sollecitazioni che si sono prodotte, con questo articolo proviamo a districare alcuni nodi che ci paiono centrali e che sono fulcro della nostra concezione e azione antifascista.

“Dove siamo noi non saranno loro”, è questo lo slogan che per poco più di un mese ha viaggiato incessantemente per le strade di Reggio Emilia e per l’etere. È lo slogan che ha accompagnato la campagna volta a impedire ai neofascisti di “Rete dei Patrioti” e “Casapound” di sfilare in città per portare parole d’ordine di odio e avvelenare il dibattito pubblico. Una calata che doveva essere propedeutica al tentativo di mettere radici in città approfittando del momento storico favorevole per le idee, le mistificazioni e la mitologia dell’estrema destra. Non è andata come avevano calcolato e questo perché dall’altra parte hanno trovato una forza e una determinazione che si è espressa nelle settimane precedenti e che domenica 30 marzo ha trovato il suo punto di caduta, la sua materializzazione.
È proprio da qui che bisogna partire, dai numeri della piazza. Quasi diecimila persone sono scese in strada per ribadire un inequivocabile NO alla presenza e alla concessione di agibilità a gruppi neofascisti. Un dato non scontato, non tanto per il momento storico nettamente sfavorevole all’antifascismo, ma perché questo è un valore che deve essere perennemente tenuto vivo, pena la deriva storica e la messa in discussione dell’antifascismo proprio in quanto valore sociale. Lo studio della storia, il mantenimento della memoria e l’attualizzazione rispetto al contesto sono le tre azioni necessarie allo scopo e tra le quali è necessario trovare un coordinamento che serva, come detto, a mantenere vivo il valore, ma che serva altrettanto a fare in modo che questo valore si traduca in corpi vivi al momento del bisogno. Fare ciò non è semplice soprattutto perché si scontra con contraddizioni che sembrano insormontabili, ma rimane a nostro avviso l’unico modo per arginare i gruppi e le organizzazioni neofasciste le quali, fortemente indebolite dalla rapida ed esponenziale crescita di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni, hanno bisogno di sgomitare, di accedere a maggiore visibilità mediatica per poter sopravvivere e lo possono fare nell’unico modo possibile, radicalizzando ancor di più le loro posizioni e le loro parole d’ordine.
Queste formazioni utilizzano uno schema semplice, quello che ha portato Giorgia Meloni alla presidenza del consiglio e FDI ad essere il primo partito (e prima di loro la Lega di Salvini), soffiare sul fuoco di problematiche esistenti, cercare di spostare il pensiero verso la razzializzazione delle problematiche stesse in modo da ottenere al contempo l’aumento della propria visibilità e di celare le dinamiche di classe alla base di ogni problematica legata a questioni quali degrado, violenza, paura, spaccio e microcriminalità. D’altronde i fascisti, nati per volere della borghesia industriale e latifondiaria italiana degli anni venti del novecento sono sempre stati al servizio del potere, svolgendo per esso il lavoro sporco. Sono stati capaci di attraversare varie epoche servendo diversi padroni per sopravvivere fino ad oggi in cui i neo-fascisti continuano in quest’opera, il cui compito è quello di aizzare i sentimenti peggiori della società contro qualsiasi essere umano che non sia come “deve essere”: occidentale, bianco, cristiano ed eterosessuale.
È un lavoro che in questi anni è stato fatto più che egregiamente, tanto che l'estrema destra è oggi al governo in molti paesi del mondo ed è ancora in una fase ascendente. Il fatto che l’estrema destra si sia fatta governo nel nostro paese non implica che il neo-fascismo radicale non sia più necessario, anzi, esso rimane pedina fondamentale nello scacchiere della politica del nostro paese perché serve a tenere impegnate importanti risorse dei movimenti sociali altrimenti destinate a lotte per la casa, per il salario e il reddito, per istruzione e sanità pubblica. Anche per questo la giornata del 30 marzo assume una rilevanza maggiore, non ha eliminato il problema ma ne ha almeno al momento limitato la portata e lo ha fatto per tutti gli attori politici e sociali della città che si riconoscono nell’antifascismo.
Quel giorno migliaia di persone sono scese in strada, più di seimila nel corteo con ANPI, istituzioni, sindacati, associazionismo, mondo della cooperazione sociale e duemila nel corteo degli Spazi Sociali, in una delle giornate di lotta antifascista più partecipate e più unitarie che Reggio Emilia abbia visto negli ultimi anni. L’unità antifascista che si è data durante tutto l’arco temporale che ha portato al trenta marzo è il dato fondamentale di cui parlare e di cui fare tesoro perchè rispetto ai molti (troppi) sproloqui, in quel momento, l’unità si è data ed è stata fondamentale per il raggiungimento del risultato finale.
Sia nei giorni che precedettero le manifestazioni che nei giorni successivi e fino ad oggi sussistono ancora compagni e compagne che lamentano il fatto che due cortei distinti siano segno di debolezza e di “divisione del fronte” e che in quel momento si sia sprecata l’occasione dell’unità antifascista. Niente di più sbagliato, niente di più superficiale nella lettura delle piazze e dei processi politici che le preparano.
Per la maggior parte delle persone l’unità rappresenta lo scendere in piazza in un unico corteo, in un'unica sfilata che tenga dentro tutto e tutti e spesso in maniera forzata. Questo per noi non ha nulla a che fare con l’unità anzi, è un modo per contenere le energie invece che dare la possibilità che queste si sprigionino. Tenere insieme forzatamente espressioni e pratiche differenti, quando parliamo di lotta antifascista, è il modo migliore per creare tensioni negative che potrebbero ripercuotersi sulla riuscita delle piazze e sul raggiungimento degli obiettivi. L’unità non ha necessità di esprimersi nella piazza, l’unità si costruisce sull’obiettivo e nella costruzione politica dell’opposizione ai fascisti, esattamente il processo che si è dato in città e che ha permesso di isolare i fascisti ed evitare che questi potessero sfilare provocatoriamente per le strade della zona stazione. L’unità è negli obiettivi e soprattutto è nel riconoscimento reciproco e nell’accettazione di stili, pratiche e ideali differenti ma che in quella determinata fase si adoperano congiuntamente per il raggiungimento di un obiettivo comune.
L’antifascismo ha uno spettro molto ampio e abbraccia culture politiche spesso in antagonismo tra loro, per questo non possiamo fare l’errore di ragionare l’antifascismo come una teoria o una proposta politica, e neppure come un collante politico e sociale capace di appianare ogni divergenza, farlo vorrebbe dire trasformarlo in un ennesimo ring di conflitto orizzontale. Ma l’antifascismo per noi è un fondamento valoriale troppo importante per banalizzarlo in questo modo, per svilirlo attraverso letture superficiali e semplicistiche, per il piacere di crogiolarsi su quel tipo di unità da tanti evocata ma tanto falsa quanto effimera, così come non è possibile spenderlo in ogni ambito trasformando tutto in lotta antifascista, operazione che reputiamo altrettanto svilente.
La lotta antifascista, in questa fase storica, necessita di un approccio di questo tipo per avere possibilità di fermare o limitare l’espansione della destra. Un’ approccio che porta in dote importanti contraddizioni, le quali necessitano di essere accettate e affrontate perché il minoritarismo nelle lotte non porta a nessun risultato, tanto più quando parliamo di lotta antifascista.
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