Pubblichiamo un primo articolo che prova a mettere in luce alcuni elementi di riflessione sulla vertenza del Bosco Ospizio.
di Ste/Magreb83
“Eerie” è aggettivo della lingua inglese tradotto in italiano con il più generico “inquietante”.
La sfumatura di senso di questa parola è spiegata bene dal filosofo Mark Fisher: …“eerie è quando non dovrebbe esserci qualcosa e invece c’è, e dove dovrebbe esserci qualcosa non c’è niente”…
Questa spiegazione può essere utile, anche, per capire il ruolo che ha avuto la politica istituzionale nei confronti della vertenza del bosco ospizio, in particolar modo nel momento più significativo e più alto del cammino fatto dal comitato nato per salvare l’area verde. Parliamo del consiglio comunale aperto, svoltosi il 14 Ottobre 2024. Quest’ultimo, infatti, ha dato luogo al confronto tra cittadini e cittadine che lottano in difesa del bosco con l’amministrazione, invece, propensa alla costruzione del supermercato CONAD. Qui può tornarci d’aiuto Fisher, mutuando la spiegazione che ha usato per definire “eerie” e adattandola sul significato stretto di politica, e il suo ruolo sul territorio. Li dove non doveva esserci, ovvero nel difendere gli interessi economici di un privato a discapito del bene comune c’è stata, mentre dove doveva cercare una soluzione plausibile, negli interessi dei cittadini e del territorio, nella difesa dell’ambiente, la politica ha deciso di disertare, trincerandosi dietro l’orizzonte dell’ormai…del tempo scaduto…davvero inquietante.
Tanti, troppi sono stati gli ormai:” ormai è stato deciso, la battaglia seppur lodevole è persa, venendo meno al suo ruolo primordiale l’interesse collettivo.
A proposito di questo risuonano le parole dette dai lavoratori della GKN raccolte nel libro “Insorgiamo Diario collettivo di una lotta operaia e non solo”. Il 16 Ottobre del 2021 i lavoratori riuniti nell’assemblea nazionale di Bologna rivolgendosi alle istituzioni per esortarle a schierarsi dicono: ”Se alla fine facciamo tutto noi, …teniamo aperta la fabbrica, impediamo con i nostri corpi la delocalizzazione, scriviamo le leggi, discutiamo con gli ingegneri, presentiamo progetti, la domanda a chi sta’ sopra di noi è: ”Ma voi a cosa servite? E non ci venga detto: “questa è l’economia cosa ci volete fare? Noi siamo l’economia voi chi siete? Cosa producete? Niente. Distruggete fabbriche, distruggete posti di lavoro… sono una classe dirigente che non ha più diritto a rovinare le nostre vite. Il vero dualismo è tra chi sfrutta e chi viene sfruttato, sulla base di questo dualismo poi discutiamo tutto il resto...
Applicando questa riflessione alla vertenza Ospizio le domande da porre a noi stessi e gli altri sono:
Chi sta utilizzando il territorio per i propri interessi privati?
Chi sta sottraendo alla comunità il diritto all’ambiente giocando al ribasso e mettendo in competizione quest’ultimo con il diritto alla salute?
Dove si colloca in tutto questo la politica istituzionale?
Le risposte sono sotto gli occhi di tutti…
Sono altri i nodi che questa vertenza mette in evidenza, che possono essere sviscerati.
Perché l’importanza di una vertenza territoriale non è solo nella possibilità di vincerla o perderla, ma anche nella capacità di riflessione che apre su tutta la città, dalle crepe che allarga, su cui si può agire ragionando sul lungo periodo.
Andiamo per ordine. Avendo chiarito già il primo punto fondamentale, la difesa a spada tratta da parte della politica istituzionale dello status quo così da favorire gli interessi privati del Conad , le altre questioni che emergono sono varie e meritano una riflessione ulteriore:
La sicurezza incardinata sulla dicotomia decoro/ degrado che definisce il bosco ospizio sterpaglia indecorosa abitata da ratti, quindi, in questo caso, l’azione del privato diventa bonifica (sic!) e risanamento del territorio.
Questione Sanitaria dove il Conad in questo caso diventa benefattore pubblico “regalando” una struttura sanitaria , cosiddetta casa della comunità, che risolverà i problemi del quartiere che ,per reddito pro capite, risulta il più povero della città.
Questione relativa alla partecipazione e al coinvolgimento dei cittadini.
Questione climatica dovuta al riscaldamento globale e non solo, dinanzi al silenzio della politica.
La sicurezza è ormai il primo punto preso in considerazione da tutti i partiti politici del territorio. Si può dire che il suo significato, insieme agli argomenti che affronta, deforma totalmente la visione sociale, in più funge da diversivo nel dibattito pubblico sovrapponendosi alle mancanze generate dai tagli al welfare e all’assistenza sociale. Esempio lampante, in città, è la zona stazione dove tutte le forze politiche negli anni hanno prediletto interventi muscolari delle forze dell’ordine, invocando a più riprese l’intervento dell’esercito. Il bisogno di alloggi – spesso disatteso – si trasforma in un'emergenza abitativa che genera povertà e precarietà ai limiti della sopravvivenza. Queste situazioni vengono descritte come indecorose e inaccettabili, colpevolizzando chi vive in condizioni di povertà e sollevando la società dalla responsabilità di prendersi cura e a farsi carico delle situazioni di fragilità. Il decoro quindi, utilizzando un termine caro agli elettricisti, è la messa a terra delle rivendicazioni di classe, perché sposta verso il basso le colpe sociali, letteralmente distorcendo il conflitto, invertendo dall’alto verso il basso la sua forza. Questa categoria viene applicata, a sua volta, a vari personaggi della società come i giovani che diventano “baby gang”, i migranti descritti all’interno di clichè sprezzanti e razzisti e finanche alla natura, e qui arriviamo al bosco dell’Ospizio. Per rendere agevole la cementificazione del Conad, si è parlato di una vera e propria bonifica e risanamento del territorio. Il bosco è stato descritto come un luogo insalubre popolato da ratti, sedicenti senza tetto e tossicodipendenti sovrapponibili alla figura dei roditori in quanto subumani. La colata di cemento in questo caso viene invocata come un intervento di purificazione e naturalmente di controllo e sicurezza. Questo discorso è stato favorito dall’idea di natura addomesticata e tollerabile, veicolata attraverso il concetto di decoro urbano, prominente nelle città neoliberiste votate al profitto tramite la messa a valore dell’intero territorio. La natura è accettabile e concepibile solo quando è raffigurata da un parco agibile, comodo, sfondo piacevole e fortemente antropizzato, una natura del tutto umanizzata e priva di anima. Se la descrizione non combacia con questa realtà allora il tutto viene descritto come erbacce da estirpare al pari dei barboni, tossicodipendenti, malati psichiatrici … insomma tutto quello che non è produttivo è punibile e rimovibile. Queste sono le fondamenta stabili dove poggia anche il nuovo DDL sicurezza.
SALUTE SANITÀ E PARTECIPAZIONE CITTADINA
La salute è l’argomento su cui l’amministrazione ha giustificato la messa a profitto del territorio a vantaggio del colosso Conad, giocando su un terreno infimo, paludoso, nel quale si confondono faziosamente in maniera mefistofelica partecipazione tra cittadini terzo settore e sanità pubblica sulla base comune dell’edificazione privata e quindi del profitto. Le contraddizioni lampanti sono l’acquisizione del diritto alla cura a discapito del diritto alla salute e alla prevenzione, contemplati nella tutela ambientale. Il tutto giustificato dalla povertà e fragilità del quartiere, come se, ai più poveri, toccasse per forza la scelta al ribasso tra i diritti, uno in cambio dell’altro (in barba a tutte le offerte Conad 2 al prezzo di 1) non potendone godere appieno, una scelta quindi fortemente classista. Dal sito comunale si legge che la Casa della comunità est riunirà in un unico edificio, funzioni sanitarie, socio/assistenziali e culturali. Le attività sanitarie quindi saranno integrate a quelle sociali e quelle culturali in una delle prime sperimentazioni in Italia. Proprio a causa della natura sperimentale di questo progetto un’altra contraddizione è la collocazione di quest’ultimo all’interno di un piano di edilizia privata e commerciale ad opera di Conad centro nord. Non solo, manca la visione della complessità, perché in nessun modo vengono contemplate le ricadute ambientali sulla comunità che si intende servire. L’ISS istituto superiore della sanità definisce la salute, il benessere e la sostenibilità, strettamente connessi tra loro. Non è un caso che gli effetti del cambiamento climatico diretti o indiretti sono il problema di salute pubblica più urgente, e le categorie sociali più fragili, come la popolazione di ospizio, saranno quelle più colpite. Come può definirsi ancora all’avanguardia un modello che non contempla la grave crisi eco climatica che viviamo? Altra riflessione è il territorio ancora non edificato usato come moneta di scambio per i privati che investono a discapito della comunità cittadina. In questo caso parliamo di ben 31000 mq impermeabilizzati per sempre in cambio di 1100 mq dati in donazione(?) da parte di CONAD, è lì che nascerà la Casa della comunità, in un progetto di edilizia privata di ben 13000 mq di edifici, più la costruzione di un palazzo di cinque piani a scopo riservato, questa è speculazione non valorizzazione del territorio.
Rimangono altri interrogativi su cui lavorare e dare in futuro altre risposte: In questo contesto di privatizzazione e dismissione della sanità pubblica dislocare il lavoro in gestione del privato sociale non può essere anche un’accelerazione della messa a profitto della Sanità pubblica? REGGIO EMILIA non è carente di strutture sanitarie, ma la grave mancanza è nel blocco delle assunzioni del personale medico…chi lavorerà in queste strutture con che tipo di salari?
PARTECIPAZIONE
Oltre alla desertificazione dei territori, dovuta agli effetti del cambiamento climatico, una delle problematiche sociali reali, è la desertificazione della partecipazione cittadina alla vita politico/sociale.
Un vero e proprio impoverimento collettivo dovuto e causato dalla commistione di tanti fattori. Anni di politiche neoliberiste hanno portato ad un aumento impressionante dell’individualismo. Proprio come predicava la Thacher agli inizi degli anni 80 non esistono le classi ma esistono le persone ed ognuno è padrone del proprio destino. La diffusione di questo pensiero sposato con entusiasmo dalla politica e narrato come innovazione da parte di opinionisti prezzolati e pennivendoli ha colpevolizzato in maniera bieca e feroce la povertà e le classi sociali più fragili. Oggi povertà e fallimento sono sinonimi. In questo brodo culturale è stato più facile strutturare campagne d’odio nei confronti dei ceti più poveri della società soprattutto migranti, donne, disoccupati, persone con dipendenze e fragilità psichiche, giovani di terza generazione migrante considerati stranieri nonostante siano cresciuti in Italia. Non è un caso che modelli promossi come aggregazione sociale siano dei veri e propri catalizzatori d’odio dove i principi fondanti che fanno da collante sono: la delazione, il controllo e il disprezzo sociale. Un esempio su tutti il cosiddetto controllo di comunità, spesso promosso come aggregazione collettiva quando in realtà sono luoghi dove si annidano razzismo e risentimento sociale. E’ questo il terreno su cui un militante politico si muove, un contesto ostile e respingente. Comitati che nascono nell’interesse collettivo per difendere un bosco, una strada, organizzare una festa di quartiere senza scopo di lucro si pongono in un’ottica differente rispetto a questa tendenza suicida. Automaticamente è dovere del militante frequentare questi contesti sia per misurarsi con la realtà, sia per scardinare l’egemonia culturale di destra che avvelena il corpo sociale. In questo momento storico i militanti in alleanza con attivisti e cittadini attivi possono essere anticorpi democratici anteponendo l’azione collettiva, naturalmente al di fuori della cornice securitaria, all’individualismo. Mai come in questo momento storico i nostri corpi sono argini contro il deserto neoliberista che avanza.
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