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CRISI ECOLOGICA E LIMITI DEL CAPITALISMO

Dopo la recensione del libro di Saito Kohei "Marx in the Anthropocene.Towards the idea of Degrowth Communism" riprendiamo il discorso attraversando alcuni passaggi del pensiero marxiano.





Siamo nell'antropocene o nel capitalocene? Non è possibile affrontare la crisi ecologica senza abbattere il capitalismo. Ma al contempo non possiamo abbattere il capitalismo senza una soluzione della crisi ecologica. Né prima né dopo, insieme.

È in questa direzione che muove i suoi passi la recente scienza che va sotto il nome di ecologia politica, e che raccoglie le multiformi e contraddittorie tradizioni del recente passato, quelle che possiamo sommariamente chiamare le forze della alternativa e quelle della opposizione al capitalismo, il "fuori e contro" e il "dentro e contro".

Questa differenza è ormai insostenibile, non perché crea contrapposizioni, ma perché crea confusione. La causa non sono gli "alternativi" o i "politici" , la causa è che la situazione è cambiata. L'alternativa non può snobbare la politica senza diventare apocalittica, la politica deve creare un'alternativa se non vuole integrarsi. Politica non è un'idea. Politica è l'azione, l'organizzazione collettiva.


Questi sono i temi di cui si fa carico la ricerca di Saito Kohei Marx in the Anthropocene.Towards the idea of Degrowth Communism, e di cui qui si restituiscono alcuni argomenti.


Nella critica che Marx conduce al capitalismo come modo di produzione è implicita la ricerca di un'alternativa, di un altro modo di produzione. Nel Capitale come nei Grundrisse l'alternativa sembra procedere dall'interno del capitalismo, attraverso lo sviluppo delle forze produttive. Questo giustifica una concezione positivista dello sviluppo economico e produttivo, inteso come forza progressiva dell'umanità di cui il capitale si appropria illegittimamente. Compito del comunismo è "espropriare gli espropriatori" per restituire allo sviluppo delle forze produttive la loro funzione progressiva. Di questa concezione si è alimentato il movimento operaio e il socialismo realizzato del Novecento, fino alle sue più recenti propaggini, come l'operaismo italiano o l'accelerazionismo francese.

Questo lato della critica marxiana è diretto a cogliere il "limite immanente" del capitalismo, cioè quella situazione estrema in cui la contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione borghesi sarebbe divenuta insostenibile. I segni di questa insostenibilità sono sociali, aumento della disoccupazione, della povertà, delle disuguaglianze. A questo limite immanente si somma però anche un limite esterno, il limite ecologico, il limite della biosfera. Se il limite immanente può essere spostato in avanti , può essere trasformato dal capitale in un "ostacolo da superare", il limite esterno è un limite assoluto. Il ribaltamento della capacità di crescita economica in crisi e impoverimento, a cui il capitalismo ricorre costantemente per ripristinare il suo processo di accumulazione, di fronte ai limiti assoluti della biosfera diventano una accumulazione di danni ambientali, disastri climatici, inquinamento irreversibile.

Per queste ragioni la critica del modo di produzione capitalistico non può fare a meno di immaginare un altro modo di produzione, l'alternativa al capitalismo.

Questo è l'altro lato della critica marxiana al capitalismo, che Marx porta avanti in modo apparentemente marginale ma costante, opponendo sempre alla concezione borghese della produzione e della ricchezza, una concezione dominante ed effettiva, la concezione proletaria, una concezione ineffettuale e subalterna ma che ha dalla sua parte la forza della emancipazione e della storia umana, poiché la storia umana non è storia di Stati e di Sovrani ma storia di emancipazione, di tirannicidi e di deposizioni.


Sarà in particolare nella Critica al programma di Gotha che Marx riassumerà quelle che ritiene le premesse per una alternativa al capitalismo, per un completo ribaltamento delle forze produttive del lavoro salariato in forze di emancipazione dal lavoro salariato. La prima precondizione è la drastica riduzione della giornata lavorativa. Il regno della libertà è in aggiunta al regno della necessità, senza una riduzione di peso di questo non può accrescersi quello. Il lavoro può trasformarsi da costrizione e da alienazione in "primo bisogno di un uomo in condizioni normali", nel contributo di ognuno al benessere collettivo, solo se la sua parte eccedente non è appropriata privatamente dal possessore del capitale. È questa la seconda precondizione per una alternativa al capitalismo, che la ricchezza da accumulazione privata diventi bene comune. La disponibilità di beni e servizi collettivi, disponibili a tuttə senza che abbiano un prezzo, senza che siano misurati "su un metro già dato", la ricchezza del comune, può aumentare riducendo la produzione e il consumo, azzerando l'accumulazione, ponendo i bisogni collettivi e non il profitto come scopo della produzione. Il comunismo come decrescita.

La scarsità non è infatti un dato astorico, naturale, la natura non manca in nulla, e l'impronta ecologica antropica può arricchire le risorse della natura invece che impoverirle se scopo della produzione non è l'accumulazione ma l'equilibrio e la chiusura dei cicli ecologici.

La scarsità è effetto della appropriazione privata e della creazione del profitto, per cui scarso è sinonimo di valore. La ricchezza comune, che non ha valore, che non è oggetto di appropriazione privata e che non crea profitto, non è scarsa.

Possiamo pensare all'alternativa al capitalismo come alternativa politica e non utopica, se organizziamo la riduzione generalizzata della giornata lavorativa e la produzione della ricchezza comune.

Questo è il fantastico compito capace di reincantare lo sguardo del mondo.

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