Una lettura delle dichiarazioni di Bonomi.
Lo stile retorico di Bonomi è proprio quello del padrone che si impone convinto di avere la verità assoluta. A tratti esaltato. Ma sono i contenuti delle sue affermazioni che, una volta sorpassata la cortina di roboanti metafore e sogni di gloria, ci mostrano chi sia davvero quest’uomo
“Al paese serve una visione”. Questa la linea retorica seguita dal neopresidente di Confindustria Carlo Bonomi nell’assemblea pubblica del 29 Settembre. In un accalorato appello a Conte, caratterizzato da tutta la retorica del grande imprenditore, del self-made-man del sogno americano, lo sottolinea con affermazioni roboanti condite di citazioni tanto colte quanto decontestualizzate. Al paese serve una visione e noi, grandi imprenditori, classe di padroni, quella visione ce l’abbiamo. E se avete un minimo di buonsenso e volete salvare il Paese dal baratro, se amate l’Italia, la dovete seguire.
Peccato che questa visione abbia più le tinte di un film distopico che di un sogno. Nello scorrere il verbale dell’assemblea sembra che il destino del paese sia in mano alla classe degli imprenditori, su cui dobbiamo necessariamente puntare tutto.
La figura del grande imprenditore la incarna proprio Bonomi: imprenditore dell’industria biomedica, nominato presidente di Confindustria il 20 maggio del 2020, tra la fine della fase 1 e l’inizio della fase 2 dell’emergenza sanitaria. Un momento estremamente critico, in cui il suo compito era quello di trovare una soluzione alla crisi. E le sue idee sono sin da subito molto chiare. Ancor prima della nomina nelle sue dichiarazioni sferrava attacchi allo Stato sulla gestione dell’emergenza a livello economico, accusandolo di aver penalizzato e sabotato le imprese. L’atteggiamento anti-imprenditoriale dello stato è uno dei fili conduttori della pars destruens del discorso di Bonomi. Lo Stato utilizza male i soldi a disposizione, ne dà troppi a pioggia, penalizza l’impresa con il blocco dei licenziamenti e la responsabilizzazione dell’imprenditore in caso di contagio dei dipendenti. Troppi vantaggi ai dipendenti e pochi all’imprenditore. Anti-imprenditorialità. Nell’ottica del presidente di Confindustria questo non solo è un problema per il futuro (perché l’impresa è l’unica in grado di risollevare l’Italia), ma è anche un mancato riconoscimento del ruolo fondamentale che gli imprenditori hanno avuto nel mantenere in piedi l’economia durante la fase di lockdown. “Le imprese sono pronte e lo hanno dimostrato, basta guardare ai settori che non hanno mai smesso di produrre” (senza tener conto ovviamente dei rischi per i lavoratori).
“Più soldi alle imprese, meno ai dipendenti, libertà di licenziare e via di “riforme strutturali” questo è il riassunto del “piano d’azione” che Bonomi presenta ad agosto. Un piano che riprende le accuse mosse allo Stato e, in una elaborata e retorica pars construens dimostra che per salvare lo Stato la soluzione è sfociare nel liberismo più assoluto e favorire le dinamiche di sfruttamento di classe. Ogni forma di assistenza ai lavoratori è un sabotaggio all’imprenditore. Così Bonomi si rammarica per il fatto che gli aiuti erogati in questi mesi siano andati a sostegno di tutti e non si siano concentrati sull’apparato produttivo.
Riguardo ai diritti dei lavoratori, in diversi dialoghi con i sindacati, si possono leggere dichiarazioni che tentano di dissimulare. Sì, i contratti li rinnoviamo, ma che siano “rivoluzionari”. E dietro questa rivoluzione dei contratti sta ad esempio il rifiuto di aumenti in busta paga perché quello che i lavoratori non ottengono in busta paga gli verrà ridato in termini di welfare. Questa impostazione alla “Leviatano” maschera bene il fatto non detto che i lavoratori dovrebbero aver diritto sia a una paga decente che a un welfare, e che i due non dovrebbero escludersi.
Ancora viene affermato che “gli aumenti devono essere legati alla crescita di produttività. La produttività non dipende infatti da quanto lavora un dipendente (…) ma dalla quantità e qualità beni che riesce a produrre. E da cosa dipende questo livello? Fondamentalmente dagli strumenti che il lavoratore si trova a disposizione per produrre. In sostanza da quanto investono le imprese” In pratica: le imprese hanno bisogno di fondi, ma questi fondi non devono essere spesi in aumenti di salario, bensì in tecnologie, in modo da essere più produttivi. Un meccanismo del capitalismo e dello sfruttamento di classe che sembra copiato e incollato dalle analisi di Marx. Ed anche le naturali conseguenze: nessuna riduzione agli orari di lavoro e via libera ai licenziamenti che finora erano bloccati, perché solo così il mitico imprenditore (il padrone) può ricavare i soldi da investire. Poi a chi viene licenziato, se proprio proprio, per ora, ci deve pensare lo stato con una qualche forma di assistenza. Ma senza soldi a pioggia, che quelli servono all’impresa.
Lo stile retorico di Bonomi è proprio quello del padrone che si impone convinto di avere la verità assoluta. A tratti esaltato. Ma sono i contenuti delle sue affermazioni che, una volta sorpassata la cortina di roboanti metafore e sogni di gloria, ci mostrano chi sia davvero quest’uomo. Ovvero un autentico nemico di classe in giacca e cravatta, che non si fa scrupoli ad occupare il posto di “sfruttatore” e a suon di “contratti rivoluzionari” schiacciare e depennare qualsiasi possibile diritto degli “sfruttati”. E dice di farlo nel nome dell’Italia e negli interessi di tutti, come se il benessere di tutti dipendesse esclusivamente da quanto si produce. Anche il benessere dei lavoratori, che dovrebbero in un qualche modo essere felici di lavorare senza orari ridotti, senza aumenti, senza tutele di alcun genere. Felici di essere piccole parti anonime e inascoltate, ma pur sempre funzionanti, della grande macchina capitalista.
Con le sue affermazioni ci dice chiaramente che l’unica via possibile è il capitalismo. Non solo l’unico modo di salvare il paese dalla crisi, ma anche l’unico modello con cui cui un paese può restare in piedi e prosperare in condizioni normali. Per questo bisogna “puntare tutto sull’impresa”. Le tutele sociali, il reddito di emergenza, i “soldi a pioggia” non devono, a detta sua, essere mantenuti sul lungo periodo, proprio perché “non sono una strada percorribile”. Come se l’unica strada percorribile fosse quella in cui ad ogni passo vengono calpestati i diritti dei lavoratori.
Ma c’è un ulteriore elemento di questa retorica che fa venire i brividi, ovvero l’immagine dell’imprenditore-vittima, dello stato anti-impresa, come se ci fosse una sorta di complotto contro l’imprenditore. E’ molto semplice: tutti vogliono aiutare gli “sfruttati” e nel farlo nessuno aiuta il povero “sfruttatore” che è dimenticato da tutti o addirittura penalizzato, quando è stato lui a tenere a galla il paese con mille sacrifici, a fare il bene di tutti. L’imprenditore Prometeo, che ha donato la salvezza agli uomini e si è ritrovato inchiodato alla rupe. Eppure noi dobbiamo ricordarci che questo Prometeo non ha mai fatto il bene di nessuno, anzi è il nemico, e sulla sua rupe ha una comoda poltrona con cui guarda dall’alto tutti. Una narrazione come quella che ci fa Bonomi è pericolosissima perché non solo è la narrazione del nemico di classe, ma quel nemico di classe cerca di farcelo stare simpatico, farci provare pena per lui.
Non proveremo mai pena per lo sfruttatore, ma soltanto odio.
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