di A.M.
Walter Benjamin sosteneva che la Storia si muove per salti. Egli si opponeva ad ogni concezione progressista secondo cui la storia procede in modo lineare e continuo. Questa concezione ha la grave colpa di rendere passivi coloro a cui è dato il compito di cambiare il corso della storia, convincendoli che stanno nuotando con la corrente e ponendoli in una condizione di attesa passiva.
Un secolo fa sì consumava la fine dell'epoca liberale che era proceduta con passi diversi lungo l'Europa. Se ai due estremi si possono ritrovare da un lato Francia e Inghilterra che, per le loro storie, si presentavano all'appuntamento con società, economie e apparati politici con forti elementi di democrazia liberale e nel lato opposto una Russia ancora profondamente feudale nel mezzo si trovavano nazioni come l'Italia e la Germania che pure provando un passaggio verso una democrazia liberale fallirono per la rigidità delle strutture del potere economico, politico e pure culturale.
È in questi paesi, dove il superamento di un liberismo ancora ottocentesco verso la società di massa si poneva con l’alternativa della rivoluzione socialista, che si crea il fascismo, cioè il governo autoritario della società di massa.
Il sorgere della società di massa, conseguenza dello sviluppo delle forze produttive del capitalismo, poneva moltissime questioni. Occorreva superare la disoccupazione, andando verso il pieno impiego, quindi superare la povertà, il che implicava l'aumento dei consumi, specie di quelli alimentari, e perciò una modifica dei rapporti di proprietà della terra, e via di seguito. Il fascismo nasce per impedire queste trasformazioni, dando alla società di massa altre forme di espressione e altri sbocchi: il mito del capo e la guerra.
Oggi si dà un altro salto nella storia. Non più dal liberalismo ottocentesco alla società di massa, ma dalla democrazia liberale alla democrazia del comune. Il fascismo attuale, che si presenta come democrazia illiberale, come potere elettivo, dove la democrazia è ridotta a legittimazione del presidente di turno, è chiamato ad impedire questo passaggio. Come un secolo fa la rivoluzione russa indicava concretamente una alternativa al liberalismo, sia pure attraverso una dittatura commissaria, esercitata in nome delle masse proletarie, anche oggi disponiamo di esempi e prospettive della democrazia del comune. La rivoluzione zapatista, il confederalismo democratico del Kurdistan, e le tante comunità locali che già praticano l'autorganizzazione, per quanto limitata e ristretta possa dirsi. Anche nel caso attuale ci sono trasformazioni indotte dallo sviluppo delle forze produttive del capitalismo, che non possono essere eluse e che richiedono profonde trasformazioni per poter esprimere tutto il loro potenziale, e a cui il fascismo, cioè il loro governo autoritario, può dare come unica prospettiva il loro sperpero nella guerra distruttiva.
Si tratta di trasformazioni ben diverse da quelle che abbiamo conosciuto con l'avanzare della società di massa, e la cui direzione è ben rintracciabile nei cambiamenti già in corso da diversi decenni.
Sappiamo già, ad esempio, che è necessario ridurre la produzione, anzi che essa è già in riduzione ma senza che nessuno la governi, piuttosto continuando ad alimentare il mito della crescita. La riduzione della produzione andrebbe invece governata coniugandola con altri processi già in corso, come la decolonizzazione, la ricostruzione degli equilibri territoriali, la crisi climatica.
A differenza di un secolo fa oggi non abbiamo un modello di governo alternativo alla democrazia liberale da cui prendere esempio. Abbiamo però due cose che un secolo fa non avevamo.
La nostra tradizione non conta soltanto sconfitte ma anche vittorie. Se il fascismo di un secolo fa doveva solo accentuare i caratteri autoritari già presenti nella società e negli apparati dello stato, quello di oggi deve anche destrutturare istituzioni e apparati pubblici che sono segno delle conquiste delle lotte passate. È un processo di decostruzione già in atto da decenni, ma il fatto che duri così tanto indica anche quanto radicate siano quelle conquiste. Non si tratta tanto di difendere il passato, ma di sentire che quel patrimonio di lotte e di conquiste ci appartiene, è a nostra disposizione per le ulteriori lotte e conquiste. Abbiamo inoltre una coscienza che ha superato ogni confine territoriale e culturale. Quella che abbiamo sempre chiamato coscienza di classe si presenta come coscienza di un conflitto che non riguarda solo il lavoro e la ricchezza, ma guarda con consapevolezza ad ogni aspetto della vita sociale e individuale. Essa rimane coscienza di classe, perché rimane coscienza di un conflitto e non solo di una contraddizione. Un nuovo mondo implica l'abbattimento di quello borghese. È la borghesia, è il fascismo che conduce alla distruzione. A noi basterà la loro fine.
Abbattere il fascismo attuale, superando la democrazia liberale, dare forza alla democrazia del comune, liberare risorse ed energia dallo sfruttamento capitalistico per creare una alternativa economica basata sulla abbondanza della natura e sulla giustizia del bene comune (in alternativa alla scarsità creata dal profitto e alla ingiustizia della appropriazione privata). Questa è la prospettiva che abbiamo di fronte a noi. Realizzarla è nostro compito, senza attendere un altro dopoguerra.
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