L'emergenza sanitaria che coinvolge ormai tutto il mondo, ci porta inevitabilmente a fare alcune riflessioni rivolte prima di tutto alla normale e ordinaria gestione della sanità pubblica. In questo periodo si è assistito all'esaltazione del nostro Servizio Sanitario Nazionale pubblico e alla trasformazione dei lavoratori e delle lavoratrici della sanità, ma non solo, in eroi e quindi in martiri da spendere sull'altare del feticcio dell’unità di “popolo italiano fiero e glorioso”. Questa retorica, fa soprattutto male ai lavoratori e alle lavoratrici stesse, che non pretendono medaglie o pacche sulle spalle, ma il diritto di lavorare in sicurezza per salvaguardare se stessi e la salute di tutti e tutte. La tutela della salute è un diritto che la Costituzione afferma come fondamentale, ma che solo nel 1978 con la “legge 833” prende forma attraverso l'istituzione del Servizio Sanitario Nazionale pubblico. E questo non si è dato casualmente. Negli anni '60/'70 il nostro paese era attraversato da un'enorme fermento politico e sociale, in quel periodo si era convinti che il diritto alla salute comportasse scelte politiche per le quali tutta la popolazione fosse attivamente coinvolta. Furono le lotte degli operai e operaie dentro e fuori le fabbriche, le alleanze createsi tra movimento studentesco e movimento femminista, i movimenti di lotta per la salute, che portarono alla conquista del Servizio Sanitario Nazionale pubblico e a importanti leggi come la “legge Basaglia” e la “194” sull'aborto. Si modificò lo Stato assistenziale, paternalistico, categoriale e si slegò il diritto alla salute dai meccanismi di mercato e da reddito, garantendo a tutti e a tutte l'accesso al servizio in base ai bisogni di salute. Nasce così il Servizio Sanitario Nazionale pubblico, universalistico, senza condizionali di classe.
Il servizio sanitario ha conosciuto tanti cambiamenti nel corso degli anni; per esempio tra il 1992-1993 si è proceduto a una riorganizzazione delle “Unità Sanitarie Locali” (ex-USL, ora AUSL) in senso aziendalistico, e come impone la dottrina neoliberista, l'imperativo categorico per la nuova azienda diventa il pareggio di bilancio, la riduzione dei costi e l'espansione della privatizzazione. Si continua a considerare la sanità un costo e non come un investimento per la salute e il benessere della collettività. Da molti anni per giustificare il lento ma progressivo de-finanziamento della sanità e più in generale del welfare, si è puntato il dito sullo spreco di denaro pubblico e sull'inefficienza, permettendo così al privato di offrirsi come unico rimedio alle carenze del pubblico. L'approccio privatistico ha tante modalità: dall'introduzione della libera professione, all'appoggio alle strutture private convenzionate, dall'esternalizzazione dei servizi, alle assicurazioni private (ecc...) A questo proposito riportiamo alcuni dati presentati dalla fondazione “Gimbe” nel suo rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale 2019: dal 2010-2019 ben 37 miliardi sono stati sottratti al SSN, con una drammatica riduzione del personale, dei posti letto, mettendo in crisi tutto il sistema, ma ecco che, "miracolosamente", il privato si propone per "integrare" la povera sanità pubblica. Il rapporto ci riferisce che la spesa sanitaria è costituita da 113.133 milioni di euro in spesa pubblica e di 41.789 milioni di euro in spesa privata, di cui 35.989 milioni di euro a carico delle famiglie, e 5.800 milioni di euro di spesa intermediata. In termini percentuali, nel 2017, il 27% della spesa sanitaria è privata e di questa l’86% è sostenuta dalle famiglie. Ci sono ben 322 fondi sanitari per un totale di 10.616.847 iscritti tra pensionati e famiglie. L'85% dei fondi sono gestiti da compagnie assicurative, ma l’intreccio tra fondi sanitari, assicurazioni, e welfare aziendale, che gode di agevolazioni fiscali, sottraendo ulteriormente risorse al pubblico, ci mostra quanto il processo di privatizzazione della sanità pubblica sia avanzata. Ormai da molti è riconosciuto come la sanità integrativa in realtà stia sostituendo il SSN rimuovendone i valori fondanti: l'universalismo e l'equità sociale.Non dimentichiamo, alla luce di ciò, soprattutto adesso che stiamo vivendo questo difficile periodo, quanto poteva essere devastante un'ulteriore accelerazione verso il privato con l'approvazione del “regionalismo differenziato”, sostenuto proprio da Lombardia e Veneto(regioni all’avanguardia nella privatizzazione della sanità) e anche dall’Emilia Romagna(desiderosa di raggiungerle in questo triste primato).
La Salute, come bene primario di tutta la collettività, non si può più gestire secondo logiche di mercato, e quindi perseguendo il profitto. La salute non si paga e non si deve vendere! Quando questa emergenza finirà, non possiamo tornare indietro, alla "normale ordinarietà”, alla perpetua e ingiusta privatizzazione della stessa. Perciò, questo è un momento possibile per rovesciare il percorso storico. Il privato, la privatizzazione dei beni essenziali per tutti, sono il problema. La nostra lotta deve essere rivolta alla fine di questo modello: l’ingiustizia sociale, la privatizzazione, la mercificazione, il profitto, la valorizzazione in denaro: le basi del sistema capitalista.
Le compagne e i compagni del Laboratorio AQ16
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