Proveremo a mettere in luce i punti più critici del progetto della Silk-Faw, che entro il 2024 dovrebbe edificare il nuovo maxi-polo nella Motor Valley emiliana nella campagna di Gavassa. La questione sta iniziando a essere di interesse nazionale, infatti eviteremo di inoltrarci sui dubbi riguardo l'affidabilità dell'azienda sino-americano e li lasceremo agli articoli di giornale, facilmente reperibili su internet, di cui invitiamo la ricerca e la lettura. Oggi ci dedichiamo di più a osservare la narrazione politica e le scelte della nostra amministrazione locale.
di Rhoda
Inoltrarsi nelle scelte politiche del Comune Reggiano non è semplice. La difficoltà sta nel comprendere se l'amministrazione ci è o ci fa. Viviamo in quella che si definisce “città delle persone” ma la realtà è ben diversa: assistiamo a un notevole aumento della marginalizzazione delle persone povere, straniere senza documenti, giovani. E per quanto la borghesia sia ben radicata, non rappresenta di certo la maggior parte della popolazione sul territorio, come non la rappresentano multinazionali straniere. In questo caso parliamo della Silk-Faw.
La Motor Valley promossa dall'azienda sino-americana e dal suo alleato, il sindaco Luca Vecchi, andrà ad occupare un terreno di ben 320mila metri quadrati, divorando così una grande area della campagna di Gavassa, per dare spazio a uno stabilimento industriale che prevede l'assemblaggio di veicoli elettrici extra-lussuosi, un circuito automobilistico, un centro di ricerca e un albergo di lusso. Tutto questo prevede l'investimento di 4 milioni di euro da parte della regione(quindi denaro pubblico) sulla base della legge del 2014 sull'attrazione degli investimenti.La nostra contestazione nelle piazze e non solo nasce innanzitutto da questa aura inattaccabile che aleggia su questo progetto, costruita ad hoc per non permettere alcuna apertura al dibattito pubblico, e ancora di più per non dar voce a nessun tipo di critica, “il progetto porterà benessere, posti di lavoro e attrattività” questa è la promessa, al quale ormai siamo tuttə tanto abituatə a sentire nel nostro "comodo" sistema neoliberista.
Partiamo considerando il “benessere” un concetto chiave per questo periodo storico segnato dalla pandemia e dalla crisi climatica, ed è quindi centrale nelle moltissime rivendicazioni su un giusto sistema di welfare, sanità pubblica e cura del territorio. Un progetto che occupa un terreno che da anni sulla carta è definito edificabile, quando nella realtà è ancora vergine, ancora custode della biodiversità al suo interno, in una città nella quale il tasso di superficie edificata arriva all'11% e supera più del 3% della media italiana di consumo di suolo, non è portatore di benessere. E forse se fosse stata svolta una valutazione sull'impatto ambientale, anche il nostro sindaco non potrebbe negarlo. Nella cultura industriale divoratrice di terreni non ci rendiamo conto di quanto il suolo sia un bene fondamentale per la nostra vita. Il terreno è ciò che permette la stessa riproduzione e conservazione della vita, è una risorsa che scarseggia sempre di più, e nonostante questo è concepito ancora come un pavimento sul quale appoggiare le cose. Inoltre l'erosione dei terreni agricoli sta alterando sempre di più la produzione di cibo. Serve un nuovo approccio urbanistico, che non permetta il libero ingresso e le incontrollate edificazioni da parte di aziende private, un approccio che riconosce il suolo come un bene comune da lavorare con cura. Perché l'unico lavoro davvero gratificante è il lavoro per il bene comune.
Nel biglietto da visita portato dalla Silk-Faw c'è anche la prospettiva di innumerevoli posti di lavoro, ma forse prima di aprirle le porte della nostra città bisognerebbe prendere in considerazione l'enorme rischio futuro della delocalizzazione, destino comune di molti stabilimenti e di molti/e lavoratori/trici buttati/e fuori e lasciati nel baratro della disoccupazione immediata. Permettere che sia la libera iniziativa delle imprese a decidere dove, come e quando lavorare, significa non avere una stabilità per lavoratori/trici e diritti garantiti e intoccati per tuttə. La Silk-FAW è teatro di vertenze e lotte nelle fabbriche(soppresse anche con la forza) per le condizioni di lavoro, e non possiamo dare la certezza di un lavoro sicuro e permanente, questo anche perché purtroppo i sindacati stessi scelgono di mettersi al servizio dell'impresa invece di assistere i lavoratori.
Reggio ha già vissuto l'esperienza della “delocalizzazione” di un immenso polo industriale, le Reggiane, per anni una città fantasma con al suo interno i suoi fantasmi. Per anni non si sono date soluzioni dignitose al diritto alla casa sicura e ad una vita dignitosa. E allora pensiamo: non ci basta? Cosa ne faremo di un'altra città fantasma? Ci possiamo permettere questo rischio nel mezzo di una crisi climatica, sociale ed economica? Perchè quei 4,2 milioni di euro non vengono indirizzati invece per assicurare una casa, una giusta sanità, e un reddito a chi nel nostro territorio ne ha mostruosamente bisogno? La risposta per loro è semplice: per l'attrattività. Per la legge del liberismo economico.
E qui arriviamo all'amara verità. L'obiettivo finale di costruire la Motor Valley è quello di rendere Reggio Emilia non “la città delle persone” ma la città accogliente per le grandi aziende, per stendere il tappeto rosso a chi di Reggio vuole farne un centro di investimento, di denaro e che mai tornerà indietro alla cittadinanza. A dimostrarlo è lo stesso prodotto finito della produzione Silk-Faw, dei veicoli da centinaia di migliaia di euro, che sì sono elettrici ma sicuramente inaccessibili e pertanto anche a impatto ecologico zero, visto che non saranno 400 modelli di auto "alla James Bond" a farci uscire dalla crisi climatica, soprattutto se i materiali per costruire le auto verranno trasportati da centinaia di mezzi pesanti (per la cronaca, non elettrici).
Quindi in conclusione, la costruzione di questo maxi-polo comporterà un peggioramento dell'aria, e un enorme consumo di suolo che con i tempi incalzanti del riscaldamento globale non possiamo permetterci, una promessa di lavoro instabile da parte di una multinazionale di dubbia affidabilità ed eticità, e nessuna innovazione per il territorio. Perché se l'innovazione deve stare a significare trasformazione, nel caso della nostra città ci appare molto come la maschera dell' abbandono dell'esistente: di individui, di edifici disabitati, di verde incontaminato.
Lancio una proposta su cosa secondo noi dovrebbe significare essere “trasformativi” (= rendere accessibile, adattare alle esigenze reali delle persone e del territorio) : quel terreno di 320mila metri quadri ancora coltivabile, andiamo a coltivarlo, attraverso una reale e sicura progettualità di integrazione e lavoro per chi in questa città viene lasciato indietro. Usciamo una volta per tutte dalla logica neoliberista per scoprire nuove pratiche di convivenza con il territorio che mettono al centro la comunità e non il profitto di pochi. Per creare posti di lavoro che non siano schiavitù e precariato, ma l'espressione di una responsabilità collettiva per vivere bene.
Non ci serve una vetrina patinata, o una favoletta per tenere gli animi tranquilli, e non ci basta. Vogliamo di più, vogliamo costruire la forza di autodeterminare il luogo che abitiamo e che amiamo, e ciò si può fare smettendo di mettersi a servizio di aziende come la Silk-FAW.
Rivitalizzazione, socializzazione, accoglienza. Queste sono le parole chiave del pensare una città “per le persone”.
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