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Siamo in stato d'eccezione?

Proponiamo qui una prima lettura su uno dei dibattiti che ha maggiormente animato il nostro mondo, quello sullo “Stato di Eccezione”, cioè le misure di lockdown imposte in quasi tutti i paesi a livello planetario e il conseguente modello governamentale, dai più immaginato, al cessare delle misure contenitive.
Crediamo sia impellente comprendere bene di cosa parliamo quando usiamo il termine “Stato di Eccezione” e come questo vada letto ed elaborato dalla “nostra parte”. Abbiamo bisogno di andare al sodo, tendere ad eliminare facili letture complottiste buone per tutte le stagioni e infine darci anche alcuni strumenti per contrastare in maniera proficua l’utilizzo di tale termine da parte della destra neofascista che abbiamo visto all’opera nel weekend appena trascorso.




Siamo in " stato d'eccezione" ? Può darsi che questa sia una domanda oziosa, che non può darci alcuna indicazione valida. Oppure può aiutarci a cambiare lo sguardo, l'espressione con cui ci poniamo nel mondo, la nostra disposizione a fare e la nostra disponibilità a lasciarci fare. Che siamo in uno stato d'eccezione sembra ovvio, e la discussione riguarda se e fino a che punto esso può essere giustificato, ed entro quali limiti possiamo o dobbiamo accettarlo. Come vedremo dovremo mettere in discussione proprio ciò che è ovvio, e chiederci se siamo veramente in uno stato di eccezione. La discussione pubblica si è fatta particolarmente accesa in reazione alla presa di posizione di Giorgio Agamben, che ha messo in guardia dalle conseguenze negative sulle libertà individuali e collettive delle misure restrittive assunte, sia pure in misura diversa, da tutti i governi del mondo per contenere l'attuale pandemia. Per rafforzare la propria posizione Agamben ha dovuto ovviamente disconoscere o sminuire ogni necessità oggettiva delle misure restrittive, arrivando a negare l'esistenza stessa della pandemia, ridotta al più ordinario rango di raffreddore. La polemica si è ovviamente incentrata su questo lato particolarmente debole della presa di posizione di Agamben. Ma se la sua posizione ha avuto così ampia diffusione e provocato così tante reazioni, non può certo dipendere dal fatto che essa è insostenibile . La vera ragione è che Agamben è il filosofo che con maggior determinazione ha ripreso e rielaborato il concetto politico-giuridico di stato d'eccezione, con una ampiezza di studi tale che coloro che pure ne criticano la recente presa di posizione non solo non criticano la sua idea di stato d'eccezione, ma per lo più la usano, dando anzi per scontato che non ve ne sia un'altra. Occorre adesso un po' di pazienza, perché si dovrà brevemente riassumere i termini della questione. Agamben riprende la teoria di Carl Schmitt, il giurista cattolico tedesco che agli inizi del Novecento aveva studiato i "politici" del Seicento, cioè quegli autori che avevano elaborato le basi teoriche e giuridiche del moderno Stato nazionale. Tra questi studi un aspetto importante è ricoperto proprio dalla teoria dello stato d'eccezione. Lo stato d'eccezione, questa è in estrema sintesi la conclusione a cui giunge Schmitt, è uno stato di pericolo per l’esistenza dell'intero ordinamento giuridico, cioè della vita dello Stato. È bene sottolineare questo punto. Lo stato d'eccezione si ha quando la stessa esistenza dello stato, il suo ordinamento giuridico è in pericolo. L'ordinamento giuridico non è infatti solo un insieme di leggi. Le leggi possono essere cambiate e abolite, ma l'ordinamento giuridico deve restare saldo. Infatti esso non solo è il segno tangibile della continuità dello stato, della sua esistenza nel senso concreto del durare, ma anche la sua base di legittimazione. L'esercizio del potere dello stato non potrebbe darsi senza un fondamento giuridico, senza una legge che lo sanzioni. Senza legge non c'è stato, ma arbitrio o come altro si voglia chiamare l'esercizio di un potere personale e non più - o non ancora - statuale. Ma Schmitt non era un amorfo scienziato, egli introduce una apparentemente piccola distorsione nella sua definizione di stato d'eccezione che cambia non solo il suo significato ma anche il suo possibile uso. La questione che Schmitt si pone, e pone, è che se lo stato d'eccezione è una condizione di pericolo per la vita, per la continuità dello stato, com'è possibile riconoscere un pericolo così grave. All'interno dello stato e della sua vita si possono dare innumerevoli pericoli, ma come distinguere un pericolo mortale, e soprattutto come riconoscerlo in tempo utile (cioè, come prevederlo dentro le leggi)? Qui Schmitt introduce la sua piccola distorsione. Non si può rispondere alla domanda su qual'è il pericolo mortale, ma si può anzi si deve rispondere alla domanda su chi può riconoscere tale pericolo. Insomma, non si tratta di sapere se si sta correndo un pericolo mortale per l'esistenza dello stato, piuttosto si tratta di stabilire chi è che può affermare che stiamo correndo un tale pericolo. Lo stato d'eccezione non è quindi più la conseguenza di una situazione di pericolo, ma la conseguenza di qualcuno che riconosce che vi è una situazione di pericolo e conseguentemente dichiara lo stato d’eccezione. Da qui la famosa frase di Schmitt :"Sovrano è colui che decide sullo stato d'eccezione". È adesso opportuno sottolineare cosa è cambiato nella definizione, e quindi nella nostra capacità di comprensione, dello stato d'eccezione. Lo stato d'eccezione da situazione di pericolo per la vita dello stato è ora diventato oggetto di una decisione. Da una realtà di fatto si è trasformato in una realtà giuridica, cioè nella dichiarazione da parte di un potere legalmente istituito e giuridicamente legittimato. Da una situazione di pericolo, a un atto giuridico. Lo stato d'eccezione cioè non è più una situazione di pericolo per l'esistenza dello stato che rischia il crollo dell'intero ordinamento giuridico, ma un atto giuridico emanato dal potere dello stato (il sovrano) che sospende le leggi ordinarie, i diritti costituzionali, il corso della legge, per garantire la continuità dello stato e del suo ordinamento giuridico. Un decennio dopo che Schmitt aveva introdotto questa piccola distorsione l'Europa sarà fascista, e allora lo stato d'eccezione "decretato", "voluto" sarà la nuova normalità. È abbastanza intuitivo che l'emergenza sanitaria in corso non ha molto a che fare con l'ordinamento giuridico degli stati, ma molto con la salute e anche la vita della gente, e i tanti problemi che pone vanno ben al di là dei diritti sanzionati dalla legge (a volerla dire tutta, sembra che più della garanzia dei diritti la situazione attuale mette in discussione la prosecuzione di un modo di produzione e di una forma di vita che è la vera causa della pandemia, e che se non si cambia il modo di produzione si continuerà a produrre altri e peggiori disastri). Nel riprendere gli studi di Schmitt, Agamben non riconosce la distorsione che Schmitt ha introdotto nella definizione di stato d'eccezione, e accetta come vero che lo stato d'eccezione è l'oggetto di una decisione operata da chi esercita il potere (è probabilmente a causa di questa convinzione secondo cui lo stato d’eccezione non può che essere "voluto" e cioè "fittizio", che Agamben lo percepisce come esso stesso pericoloso, per la vita civile e per le libertà sociali e politiche). Eppure, nel suo studio intitolato appunto Stato d'eccezione, Agamben aveva riscoperto l'originario statuto dello stato d'eccezione, quello cioè di essere una situazione di pericolo per l'esistenza dello stato, e anzi aveva mostrato come questo significato dello stato d'eccezione fosse addirittura preso in considerazione come situazione di pericolo, già nell'antico diritto romano. La conclusione a cui giunge Agamben, in questo suo studio, non riesce però a liberarsi dall'influenza, probabilmente inconsapevole, di Schmitt. Infatti, lo stato di pericolo viene riferito non all'ordinamento giuridico in quanto forma di esistenza e di legittimazione dello stato, ma, con una accezione astratta, all' insieme delle leggi, per cui lo stato d’eccezione viene inteso come la situazione che si crea a seguito della sospensione delle leggi in questo senso astratto, come anomia o mancanza di leggi. In questo modo si riapre la porta alla distorsione di Schmitt, nel senso che se lo stato d'eccezione si identifica con un atto di sospensione della legge ritorna centrale la figura del sovrano, cioè di colui che con un atto "voluto" dichiara sospesa la legge. In questo modo lo stato d'eccezione da situazione di pericolo per l'esistenza dello stato ritorna ad identificarsi con un atto di volontà sovrana. Ciò che si voleva mettere in discussione è proprio questa concezione dello stato d'eccezione. L'instaurazione di una dittatura, o una più dolce limitazione delle libertà, non è uno stato d'eccezione, che tutt'al più può essere invocato come la motivazione più o meno fittizia. Il vero stato d'eccezione si ha al contrario quando lo stato è impedito ad esercitare le sue funzioni, quando il suo potere si esercita senza alcuna legittimazione giuridica perché il suo ordinamento giuridico non è più valido. Esso è quindi "dichiarato" non dal sovrano ma da coloro che depongono il sovrano, che delegittimano la sovranità dello stato. Sono le classi in lotta per il sovvertimento e l'abbattimento dello stato che creano il vero stato d'eccezione. E le classi non lottano contro lo stato in base a principi o teorie, ma quando l’esistenza dello stato, il suo ordinamento giuridico, si contrappone alla loro esistenza. Diventa forse allora possibile rivedere quale relazione esiste tra l'attuale situazione pandemica e lo stato d'eccezione. Non si tratta di vedere un pericolo nella dichiarazione dello stato d'eccezione e nella sospensione delle libertà, piuttosto si tratta di vedere un pericolo nella prosecuzione di una condizione economica sociale ed ambientale che ha provocato la pandemia. Il distanziamento sociale non va inteso come una misura temporanea di prevenzione, piuttosto come la condizione disumana a cui ci costringe una condizione storica non più sostenibile. Come già l'attuale pandemia anche molti altri disastri sono preannunciati come imminenti nei prossimi anni, dai cambiamenti climatici all'inquinamento dei mari, dallo scioglimento dei ghiacciai già in stato avanzato alla crescita esponenziale di malattie rare. Se riusciamo a comprendere che l'attuale pandemia non è un fatto casuale né isolato, allora abbiamo anche tutte le ragioni per dichiarare illegittimo quello stato che vuole ritornare alla normalità, e riconoscere come non più valido quell'ordinamento giuridico che ci ha condotto fin qui, e cioè determinare il vero stato d’eccezione.

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