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Progresso e sviluppo

...Lo sviluppo del capitalismo coincide con la sconfitta dei lavoratori, con la sussunzione del lavoro dentro i rapporti di produzione capitalisti...
Quando ascoltiamo o leggiamo le dichiarazioni di Bonomi o di un qualsiasi confindustriale, ma anche di chi sta al governo di questo paese che sia centrosinistra o destra, quando parlano di lavoro parlano la stessa lingua. Progresso e sviluppo anche se da angolazioni diverse per loro viaggiano insieme in maniera positiva, ma noi sappiamo che non è così.





È strana l'abitudine di attribuire a Marx una concezione positiva dello sviluppo capitalista.

Nella sua opera si trova espressa l'idea che il capitalismo svolge un compito storico progressista, che il suo modo di produzione costituisce un progresso rispetto ai modi di produzione che lo hanno preceduto. Si trova però anche una idea molto chiara su cosa significa lo sviluppo del capitalismo. Esso corrisponde alla estensione dello sfruttamento delle fonti della ricchezza, cioè della natura e del lavoro umano, alla intensificazione della estraniazione del lavoro e della alienazione delle relazioni umane. Lo sviluppo del capitalismo coincide con la sconfitta dei lavoratori, con la sussunzione del lavoro dentro i rapporti di produzione capitalisti. Il salario è la vittoria del padrone, la riduzione del lavoro a merce. La conclusione a cui possiamo giungere, l'unica che si deve dedurre dalla lettura delle sue opere, è che Marx non ha alcuna illusione verso lo sviluppo del capitalismo, esso corrisponde sempre alla vittoria dei padroni e alla sconfitta dei lavoratori. Quando i socialdemocratici tedeschi, con cui Marx ed Engels collaborano, scrissero un programma che sosteneva l'identità tra progresso sociale e sviluppo capitalista Marx smonta questo programma punto per punto, mostrando quante falsità sono necessarie per poter sostenere lo sviluppo del capitalismo.

Non c'è nulla di positivo nello sviluppo del capitalismo.

Ma il capitale non è una cosa. La sua produzione non è un fenomeno della natura, né tanto meno una eterna necessità trascendentale, come il movimento dell'universo. Il capitale lotta contro i lavoratori per ridurli a forza lavoro, i lavoratori lottano contro il capitale per affermare la propria libertà. Da una parte sta lo sviluppo, dall'altra il progresso. Progresso e sviluppo non sono il risultato del capitalismo ma della lotta che in esso si combatte. Se vince il capitale si ha sviluppo, se vincono i lavoratori si ha progresso. Sviluppo è sinonimo di aumento dello sfruttamento, della espropriazione di ricchezza, di accumulazione del capitale. Progresso è sinonimo di aumento della libertà dallo sfruttamento, di riconoscimento dei diritti di uguaglianza, di distribuzione della ricchezza, di un mondo più giusto. Il progresso non si identifica con la fine del capitalismo, ma con la riduzione del suo potere sulla vita e sul lavoro, con una maggiore libertà e dignità. Al progresso può sempre succedere di regredire, quando il capitalismo vince e stravince, e rivuole indietro quello che i lavoratori avevano conquistato. Lo sviluppo invece va sempre a braccetto con il sottosviluppo, più c'è sviluppo più si accresce il sottosviluppo, più c'è accumulazione di ricchezza più c'è miseria ed esclusione.

C'è progresso perché i lavoratori lottano contro lo sfruttamento.

C'è sviluppo perché il capitalismo persegue l'aumento della ricchezza (ottenuta con lo sfruttamento della natura e del lavoro) nella sua forma astratta, cioè come ricchezza che ha come unico fine di accrescersi, di creare sempre nuova e maggiore accumulazione. Il fine del capitale è il profitto, il valore che aumenta di valore.

È questa natura dello sviluppo capitalistico che costituisce per Marx il ruolo storico del capitale, l'evoluzione rispetto ai modi di produzione precedenti. Si deve cioè tenere distinti due giudizi di natura diversa. Il giudizio sullo sviluppo come approfondimento ed estensione dello sfruttamento della natura e del lavoro, e il giudizio sul capitalismo come modo di produzione che rende possibile il progresso .

Ogni modo di produzione ha al suo interno un conflitto di classe, un conflitto tra sfruttati e sfruttatori. La novità introdotta nella storia dal modo di produzione capitalistico, il suo ruolo storico, è che la posta in palio di questa lotta è un eccesso di ricchezza, la ricchezza eccedente i bisogni e il necessario. Solo sulla base di una ricchezza eccedente si può pensare che il lavoro non sia più una necessità, ma una libera espressione, una attività che si è liberata dalla necessità e dalla possibilità di essere sfruttato.

Nella storia della lotta di classe del moderno proletariato il progresso è sempre stato sussunto nello sviluppo. Su questo dato di fatto si possono fondare giudizi sui tradimenti e sui fallimenti, sui rapporti di forza, e altro. Comunque sia progresso e sviluppo sono coesistiti. Sarà ancora così? Il capitalismo sarà ancora in grado di sussumere il progresso nel suo sviluppo?

Da un po di tempo prevalgono ipotesi catastrofiche, una percezione depressiva sullo stato delle cose attuali e a venire. E per lo più le si giustifica associandole alla lunga fase di vittoria del capitalismo, del suo sviluppo. Ma forse la domanda più azzeccata è se l'innegabile sviluppo del capitalismo degli ultimi trenta o quaranta anni sia stato in grado di sussumere tutto il progresso conquistato con le lotte, se non rimanga ancora un eccesso di ricchezza che il capitale non è in grado di assorbire nei suoi processi di valorizzazione. Se il capitale riesce a trasformare tutto il lavoro in merce o non sopravanzi un eccesso di capacità produttiva libera da ogni sfruttamento eppure produttiva. Se insomma ci sia un eccesso di ricchezza un eccesso di civiltà che ha reso possibile un lavoro libero, fuori dalla sua misurazione salariale, non più sfruttabile né alienabile.

Volontariato, militanza, cura, solidarietà, produzioni dal basso, condivisione, cultura, autorganizzazione, sono forse espressione di un eccesso di ricchezza e di civiltà, eccessiva per i rapporti di produzione del capitalismo ? Sono forse il segno di un progresso che eccede lo sviluppo?

Se così fosse ne risulterebbero alcune conseguenze sulle facoltà percettive e intellettive.

Se percepiamo le tante azioni che si sottraggono allo sfruttamento come strenue forme di resistenza in procinto di essere sopraffatte, cercheremo di capire come difenderle, e vorremmo difendere di più alcune e meno altre, o magari distinguere quelle che sono veramente contro lo sfruttamento da quelle che lo sono solo in apparenza. Se invece le percepiamo come una ricchezza eccedente, che può essere persa ma mai sussunta, allora penseremo a come sostenerle, a come estenderle sicuri che in esse si produce ricchezza eccedente.

Se siamo di fronte non a un difetto di ricchezza ma ad un suo eccesso allora anche la relazione tra qualità e quantità cambia. La capacità produttiva che è in questione non si lascia quantificare, non è la base, il denominatore del rapporto di valore con cui misurare la ricchezza eccedente, il plusvalore, essa è già questo eccesso. Esso non crea valore. La qualità non si trasforma in quantità. Non si misura.

È la quantità che invece può e deve trasformarsi in qualità. Il valore svolge la sua funzione non nell'autovalorizzarsi nel suo aumento quantitativo ottenuto sussumendo la qualità del lavoro, ma nel valorizzare la qualità, nel trasformarsi in qualità. Reddito universale, partecipazione alla ricchezza universale.

È una nuova funzione della moneta che si aggiunge alle altre e le sovradetermina nella loro finalità. La moneta in quanto segno della ricchezza universale.

Ciò cambia anche la percezione e l'intelligenza della storia, il presente come redenzione del passato, ciò che in esso era inteso.

E cambia il senso della politica e delle istituzioni del comune. Da una politica appropriativa alla politica distributiva e partecipativa.

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