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NON DI GOVERNO, MA DI COMANDO.




Ci siamo, Giorgia Meloni è la nuova presidentessa del consiglio, il governo è stato presentato, la fiducia assegnata dalle camere e già immaginiamo quello che ci troveremo a fronteggiare, e non sarà niente di buono.

Il risultato del voto, con la vittoria dell’estrema destra italiana post-fascista non è un risultato inatteso, anzi, è il punto di approdo di un processo iniziato a partire dalla formazione del secondo governo Conte. E’ in quel periodo che possiamo datare lo scaricamento da parte dei potentati economici e del giornalismo italico del trombone padano in favore della più rassicurante Giorgia Meloni. Non c’era da essere arguti per accorgersene, bastava leggere gli articoli e gli editoriali degli ultimi due anni di qualsiasi giornale a tiratura nazionale. Questo risultato è stato voluto, e non senza motivo, così come il dato dell’astensionismo il quale aumenta in maniera direttamente proporzionale all’aumento della concentrazione della ricchezza in poche mani. L’astensionismo in ultima istanza costituisce uno degli indicatori principali per analizzare il divorzio in atto tra Capitale e Democrazia.

Quanto successo nelle elezioni italiane è quindi da ascrivere al mutamento in atto all’interno del sistema capitalistico globale, ai rapporti di produzione e di valorizzazione del capitale nonché dello stesso comando capitalistico. Questi mutamenti in atto non sono affare degli ultimi mesi ma sono un continuum iniziato dalla crisi dei subprime del 2008 e sono in pieno svolgimento, diremmo quasi in una fase cruciale, non per niente è ancora il ritorno della guerra in Europa a fungere da bilancia nei cambiamenti epocali nel sistema capitalistico.

Tutto ciò non riguarda solo il nostro paese, la destra nazionalista e reazionaria è il fattore fondamentale per il modello governamentale di questo tempo. Per questo non ci stupisce che per il nostro paese sia stata scelta Giorgia Meloni a governare questa fase, lei e tutto il suo armamentario ideologico con i piedi ben piantati nell’MSI erede del fascismo storico, il cui compito consiste nell’impedire la nascita di ogni possibile dialettica politica conflittuale nel paese. Sappiamo bene che al momento in Italia non vi è il benché minimo accenno di conflitti sociali, se non sparuti, frammentati, poco incisivi e difficilmente generalizzabili, ma viviamo in un momento in cui non mancano gli elementi per la crescita di conflitti sociali, fino a vere e proprie esplosioni violente di dissenso e rabbia sociale. E’ dalla crisi del 2008, seguita da quell’Austerity che per dieci lunghi anni ha sistematicamente accresciuto l’impoverimento di intere fasce sociali, a cui sono seguite le crisi migratorie la pandemia la guerra e i disastri ambientali dovuti al surriscaldamento globale che l’asse politico dei governi va sistematicamente spostandosi sempre più a destra. Non certamente una destra olio di ricino e manganello ma nemmeno più una destra liberale, diremmo più che altro una destra finanza e manganello.

Mario Draghi che prepara il terreno per un approdo più leggero del nuovo governo, i ministeri che contano nella gestione economica del paese nelle mani di fedeli europeisti, i viaggi a Washington di Adolfo Urso, l’elezione di La Russa e Fontana a presidenti delle camere, nonché il profilo da brava scolaretta cucito addosso a Giorgia Meloni in questi ultimi giorni restituiscono una fotografia nitida rispetto alle intenzioni del governo e alle aspettative intorno ad esso. Come molti compagni hanno già avuto modo di scrivere il nuovo governo seguirà la strada neoliberista tracciata da Mario Draghi, perché è necessario per governare, perché è il lasciapassare per l’attuazione di qualsiasi politica reazionaria, perché è così che piace all’UE.

Proprio questa UE a trazione ordoliberista ha dimostrato quanto può andare d'accordo con sistemi democratici illiberali, di come sia stabilizzatore, al momento, il connubio tra economia liberista ed entità statale reazionaria. Questo è avallato dalle politiche europee degli ultimi dieci anni almeno. C’è solo un paletto che non è possibile aggirare per mantenere la benevolenza delle istituzioni europee, il cosiddetto atlantismo, cioè la sottomissione al comando politico/militare di Washington. Quando qualcuno si discosta da questo piano, come l’Ungheria in questa fase di guerra allora partono le procedure di infrazione, le multe, le messe sotto osservazione, il blocco dei fondi e in generale tutte le armi che le istituzioni europee hanno per mettere pressione ai governi che escono, anche se e solo temporaneamente, dalla strada indicata. E’ così che tutto d’un tratto, dopo anni di incensamento di Orban e del modello ungherese, Giorgia Meloni si è affrettata a marcare il fatto che per il suo modello di governo si ispirerà alla ben più rassicurante, ultracattolica, reazionaria e atlantista Polonia. Ma l’assunzione dell’uno o dell'altro a modello non modifica né la sostanza né l'indirizzo del governo Meloni, il quale si inserisce a pieno titolo e come possibile “attore di peso” nella pericolosa involuzione in atto in Europa e nell’Unione Europea che lentamente ma inesorabilmente sta scivolando verso una specie di federazione di nazionalismi tanto culturalmente reazionari quanto economicamente neoliberisti, all’interno della completa sudditanza politico/militare al comando americano il quale, dopo avere perso l’egemonia globale ha assoluto bisogno di mantenere un controllo ferreo sui paesi europei.

Il posizionamento, come detto, è quello giusto, neoliberismo economico guidato dall’UE e politica estera Atlantista guidata da Washington. Con questi due bastioni saldamente presidiati Giorgia Meloni e i suoi camerati hanno mano libera e ampio margine di azione per ciò che riguarda il resto, ma pensare che l’attacco più potente verrebbe sferrato all’ambito dei diritti civili è a nostro parere valutazione erronea. Non solo per l’odierna martellante campagna contro il reddito di cittadinanza ma per la storia politica di questa destra, per le ragioni che ne hanno portato alla nascita e alla continuità storica fino ad oggi. Questa destra era, è e sarà sempre una compagine che serve a tutelare gli interessi degli sfruttatori a svantaggio degli interessi degli sfruttati, che riguardi il mondo del lavoro, le politiche ambientali o altro, il principio di base è il medesimo.

Questo governo è l'ultimo, estremistico tappo per impedire le trasformazioni di cui cresce l'urgenza e la consapevolezza. La sua azione aumenterà le divisioni sociali, normalizzando le discriminazioni

Dobbiamo in ogni modo rifiutare ogni distinzione in materia di diritti, perché tale divisione non farebbe altro che depotenziare una lotta che deve essere portata su un piano generale, dal reddito al salario, dalle questioni di genere all’aborto libero e sicuro, dalla savaguardia dell’ambiente che viviamo alla sicurezza sui posti di lavoro e oltre.

Ci aspetta un durissimo scontro di classe.


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