[...]L'esercizio che qui proviamo a svolgere vuole essere solo indicativo della opportunità e della efficacia che l'uso della ragione, tesa a distinguere e dipanare, può costituire. E un invito ad adottarlo, con la pazienza e la tenacia dovuta [...] -
Nella prima parte del testo proviamo a sintetizzare il caos che cresce dentro la pandemia da Covid19, teorie bislacche e pensieri seri che si rincorrono e si sovrappongo con l’andare del tempo, mentre nella seconda parte proviamo a metter un po di ordine, perché è necessario prendere una posizione.
Piuttosto che venire al pettine, i tanti nodi emersi dall'inizio della pandemia sembrano sempre più aggrovigliarsi. Proviamo almeno sommariamente ad individuare alcuni dei fili di questo groviglio, cercando di usare la ragione per distinguere i vari lati di una questione sempre più confusa. Distinguiamo innanzitutto tra causa ed effetto. Sembrerebbe cosa facile, ma già questa distinzione richiede una duplicazione del discorso. Da un lato la pandemia sembra la causa mentre la dichiarazione dello stato di emergenza ne sarebbe l'effetto. Se non che si danno interpretazioni opposte, secondo cui la pandemia sarebbe una falsa causa, una causa fittizia, e lo stato d'emergenza non ne sarebbe l'effetto. Lo stato d'emergenza è stato voluto. Esso è di fatto la causa, non tanto della pandemia, quanto dei suoi effetti politici e sociali. Non si nega la pandemia, ma la sua gravità, e quindi l'esistenza di una giustificazione oggettiva allo stato d'emergenza. Secondo questo paradigma le decine di migliaia di morti non sarebbero così eccezionali, esse si verificano in misura equivalente ogni anno a causa delle ordinarie influenze stagionali.
Puntare il dito sulla natura fittizia dello stato d'emergenza, giustificato o meno che fosse, esclude dal campo visivo la pandemia stessa, è un primo aggrovigliamento che si tratta di dipanare.
Riguardo alla pandemia non va meglio. Il covid 19 è l'esito di uno spillover causato dall'invasione di ambienti naturali da parte delle attività umane o piuttosto di un esperimento di laboratorio. Anch'esso, sarebbe un dato di fatto o è stato voluto. Si tratta di un incidente o di una macchinazione. Arrivano poi i vaccini, e la cosa diventa veramente intricata. Non sono vaccini ma profilassi oltretutto sperimentali, visto che sono stati prodotti e distribuiti derogando alle normali procedure di controllo previsti per i vaccini. Emergono poi i conflitti politici tra diversi stati che fanno a gara per primeggiare nella brevettazione. In Europa si ha poi lo scandalo di contratti stipulati con le aziende farmaceutiche che vengono secretati e nascosti all'opinione pubblica. E non ultimo le altalene infinite sulla somministrazione per fasce d'età legata agli effetti in alcuni casi mortali della loro inoculazione. Adesso abbiamo il green pass. Una certificazione senza la quale ci si sente limitati nelle libertà individuali, come viaggiare all'estero, andare al ristorante, frequentare palestre.
Ognuno di questi nodi va sciolto, e da ognuno di essi parte un filo che conduce da una parte.
Riguardo alla dichiarazione dello stato d'eccezione si dà il caso che esso sia già stato dipanato. Il fatto che esso, accentrando il potere legislativo nelle mani del potere esecutivo, esautora il parlamento non si configura come novità, piuttosto come una ulteriore tappa di un percorso che procede da decenni, da quando la politica ha rinunciato a rappresentare gli interessi contrapposti presenti nella società, che pure continua ad essere una società divisa in classi, per assumere come proprio obiettivo la realizzazione di quello che si definisce pensiero unico, cioè la tutela e il sostegno degli interessi del capitale, sia esso manifatturiero finanziario o immobiliare, rendendo ormai vana, se non per alcune residuali differenze di principio, la differenza tra destra e sinistra. L'arrivo di Draghi ha sancito una situazione maturata da tempo. Attraverso lo stato d'emergenza e grazie alla unità conseguita, che oltre ad esautorare il potere legislativo del parlamento spoglia di ogni velo le forze politiche parlamentari, si stanno portando a termine quelle famose riforme che da decenni si paventano come indispensabili: liberalizzazione dei licenziamenti, liberalizzazione degli appalti, abolizione dei controlli pubblici, limitazione e controllo del potere giudiziario. Se proprio vogliamo dire che lo stato d'emergenza è voluto non possiamo certo riferire questa volontà al Covid19.
Anche il nodo circa la natura del virus è già stato sciolto. Sia conseguenza di uno spillover avvenuto in un qualche allevamento intensivo ai margini di una foresta o risultato di un esperimento di laboratorio, in entrambi i casi è il prodotto di un modo di produzione che ormai quotidianamente mostra di essere un modo di produzione di morte, un sistema catastrofico indifferente alla salute umana, ai limiti ecologici, alla vita civile, che non disdegna guerre, devastazioni ambientali, sfruttamento, omicidi di migranti in fuga dalla miseria, usando la violenza senza remore per garantire profitti e rendite. I vaccini, la loro produzione e distribuzione non sono altro che una conferma di tutto questo (l'avevamo già scritto: https://lineareggiana.wixsite.com/blog/post/le-tre-facce-dell-obbligo-vaccinale). Da una parte poteri pubblici totalmente deresponsabilizzati nella garanzia della salute pubblica, dall'altra imprese che lucrano attraverso il sistema dei brevetti su una pandemia di carattere mondiale. Non dimentichiamo cosa abbiamo dovuto subire prima dell'arrivo dei vaccini. Migliaia di morti causati dalla precisa volontà di Confindustria di non interrompere la produzione, strutture sanitarie destrutturate da decenni di tagli alla spesa trasformate in luoghi di contagio e di morte. I cosiddetti vaccini, con tutte le loro contraddizioni, hanno ridotto le conseguenze nefaste di questa situazione, ma non l'hanno certo risolta, anzi. La riqualificazione della sanità pubblica, di un servizio sanitario nazionale in grado di sviluppare servizi territoriali efficienti e di garantire a tutti gli stessi livelli essenziali di assistenza, un'esigenza emersa, in modo drammatico con la pandemia, è disattesa da piccoli re di regione, come il nostro Bonaccini, che mirano all'autonomia differenziata, a costruirsi un piccolo regno dove ospitare le grandi imprese e godere degli onori del capitale. La gestione dei vaccini ci pone di fronte in modo chiaro non tanto la contrapposizione tra libertà e imposizione ma quella ben più concreta tra sanità pubblica e sanità privata.
Sul green pass, novità di questi giorni, non c'è molto da dire. È l'ulteriore esasperazione di una gestione poliziesca della pandemia, che scarica sui comportamenti individuali responsabilità collettive, esasperando la concezione che trasforma la sicurezza collettiva in una questione di controllo e di sanzione dei singoli.
L'esercizio che qui si è svolto vuole essere solo indicativo della opportunità e della efficacia che l'uso della ragione, tesa a distinguere e dipanare, può costituire. E un invito ad adottarlo, con la pazienza e la tenacia dovuta.
Di fronte invece ad un groviglio che si attorciglia sempre di più si deve forse ricorrere a quel gesto che il mito attribuisce ad Alessandro il macedone che di fronte al nodo di Gordio sguaina la spada e lo trancia.
Quel che il mito ci dice è che in certe situazioni bisogna decidere. E forse anche noi siamo in una situazione in cui sarebbe bene decidersi. Le piazze piene di chi rivendica la propria libertà individuale (liberale) contro le imposizioni del governo, chiamando a proprio sostegno i diritti costituzionali e paragonandosi agli ebrei in mano ai nazisti, sono l'esito, c'è da augurarsi finale, di un'epoca, quella neoliberista, che ha fatto della libertà individuale il mito di masse deprivate e senza speranza. La desolidarizzazione ci lascia soli, pieni di paure e di angosce e solo una parvenza di autonomia personale, misurata con la libertà di non vaccinarsi, la libertà di andare al ristorante, la libertà di andare in aereo riesce erroneamente a consolare.
Sarebbe bene che ci decidessimo. Che ci decidessimo a sentirci una collettività, a riconoscere la nostra libertà nella libertà di tutte e tutti, a costruire una autonomia comune, a riconoscerci nella cura reciproca e verso le nostre vite e il nostro comune territorio. Decidere in che direzione andare, una direzione per cui vale la pena recidere il nodo di Gordio. La nostra scelta l’abbiamo compiuta già da tempo. Districarsi nel groviglio sopra descritto è un esercizio fondante per una lotta all’altezza del “tempo sospeso” che viviamo, per non cedere a pulsioni reazionarie, correre dietro a finte libertà o accettare stati d'eccezione come regola. Un bisogno che si deve allargare, corpi vivi e menti lucide per prendere in mano il futuro. Per mettere ordine nel caos odierno siamo in campo, senza timore, con un'idea precisa. Non è il momento di restare passivi.
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