Tra profitto, narrazioni e presunte libertà
Da quando la campagna di vaccinazioni è iniziata, abbiamo avuto di nuovo modo di osservare le contraddizioni interne al nostro paese. I sottintesi delle scelte effettuate, che tanto sottintesi non sono, pendono sulle nostre teste, i dubbi crescono e con essi la paura. Quello che più manca, ironico, dal momento che dal nuovo governo Draghi viene tanto decantata, è la chiarezza e la trasparenza, e il risultato è da parte dei cittadini una mancanza di fiducia generale non nel governo, ma nella scienza. Per questo, in quanto compagn* che si interessano e studiano la cura comune e la salute collettiva, vogliamo provare a fare un’analisi del problema.
Nel parlare di vaccini bisogna distinguere tre ordini di discorso, connessi tra di loro, ma che meritano ciascuno una particolare considerazione a sé. Potremmo immaginarli come tre livelli stratificati, dall’alto verso il basso: il primo riguarda la distribuzione e la produzione dei vaccini, sia intesa come messa a disposizione, sia come scelta di quali siano le “categorie” a cui dare la priorità. La conseguenza che pesa su di noi è il fatto che non ci siano sufficienti vaccini, disponibili per tutti, che la campagna di vaccinazione si adatti a quello che c’è a disposizione anziché alle necessità e che diventi infine un ennesimo fattore di divario sociale e di consolidamento di gerarchie. Si tratta di decisioni prese interamente dai governi Italiano e Europeo che non possiamo non contestare.
Il secondo livello è quello della narrazione mediatica riguardo al vaccino, con tutte le sue conseguenze: abbiamo visto bene come la stampa, lungi dall’essere fonte di informazione neutrale, sia strumento di manipolazione e veicolo di notizie false e influenti, che accrescono timori e disinformazione anziché metterli a tacere. La conseguenza è che molti non si vaccinano per paura, timore e confusione. Da sempre ci impegniamo nel decostruire le narrazioni mediatiche mainstream che fanno il favore dei potenti e dei loro interessi, qui la posta in gioco diventa vitale: è necessario controbattere quanto appare sui titoli degli articoli, in maniera precisa, mostrando gli errori logici su cui vengono costruiti, e allo stesso tempo cercare di diffondere informazione pulita e chiara, naturalmente non prestata agli interessi di nessun*.
Il terzo livello è quello di coloro che rifiutano la vaccinazione perché la sentono come lesiva della propria libertà. Si tratta di un livello personale e individuale che politico di un discorso che spesso sentiamo fare anche da compagn*: l’obbligatorietà del vaccino per certe professioni è addirittura paragonata a una riforma “dittatoriale”, mentre il non vaccinarsi è visto come una affermazione della propria libertà. Si tratta di una posizione che va assolutamente combattuta, specie se portata avanti da chi, come noi, dovrebbe sostenere l’importanza della cura collettiva. È necessario in questo ordine di discorso che iniziamo a parlare di responsabilità collettiva in un senso che non si riduca alla retorica dell’individuare capri espiatori.
Per quanto riguarda il primo livello, la nostra critica non può che essere spietata: vediamo per l’ennesima volta come tutto sia sacrificabile in nome della logica del profitto, compresa la salute e la vita di migliaia di persone. Il rifiuto ostinato a togliere brevetti sui vaccini, innanzitutto, ha fatto e continua a far sì che vaccinare la popolazione, creare immunità di gregge e tutelare la salute di tutte e tutti sia qualcosa che bisogna “potersi permettere”, letteralmente uno speculare sulla vita degli altri. In questo senso vaccinarsi non è una scelta, perché la scelta non è nemmeno stata resa possibile: i vaccini disponibili sono pochi, si esauriscono in fretta e la campagna vaccinale va a rilento con la conseguenza di dover prolungare sempre di più la situazione di lockdown che pesa sulle spalle dei più deboli. A dettare l’ordine di vaccinazione sono i vaccini disponibili, non le vere necessità: vediamo ad esempio che, dal momento che alcuni vaccini non sono indicati per gli immunodepressi, ma sono gli unici disponibili, questa categoria scala in ordine di tempo e la priorità viene data a chi quei vaccini invece li può fare. E ancora vediamo l’ennesimo elemento che ci fa rabbrividire, ovvero che laddove è stato possibile vaccinare, l’ordine di vaccinazione rispecchia l’ordine gerarchico anziché quello delle necessità. Ce ne dà un esempio (ma è solo uno dei molti) l’università di Bologna, dove il primo a vaccinarsi è stato il rettore, chiuso nel suo ufficio e privo di contatti, mentre tutt* i lavorator* e student* che realmente dovrebbero vivere le aule dell’ateneo e entrano in contatto tra loro non hanno nemmeno il miraggio più lontano di un vaccino. A tutto questo dobbiamo aggiungere che anche dopo più di un anno dall’inizio della crisi sanitaria, ancora gli investimenti sulla sanità sono minimi o inesistenti, mentre le tasche dei privati continuano a gonfiarsi. Il vaccino rimane uno strumento importante nel combattere la pandemia, ma deve essere affiancato da uno sviluppo e un investimento su personale, strutture sanitarie enti di ricerca e di produzione pubblici, sulla sanità di prossimità, sulla supremazia delle politiche di prevenzione sui processi ospedalieri di cura, sulla fine dello sfruttamento delle risorse naturali dell’agricoltura e dell’allevamento intensivo, su un cambio radicale dello stile di vita e di produzione, su una rivoluzione che releghi il sistema sociale capitalista e i suoi effetti dannosi ai soli libri di storia. Investire sullo sviluppo di nuovi vaccini da parte di privati non può e non deve essere una scusa per trascurare gli investimenti sulla sanità, come stanno facendo presidenti di paesi con una grossa crisi pandemica. Questo a maggior ragione perché la crisi climatica che il sistema capitalista ha creato con anni di sfruttamento animale e ambientale rende altamente possibili nuovi salti di specie e lo sviluppo di nuovi virus e malattie infettive per cui non sarà sempre immediato sviluppare cure: il fatto che ci si ostini a non investire sul miglioramento di strutture sanitarie pubbliche, sulla salvaguardia dell’ambiente significa che ogni volta saremo colti impreparati, esattamente come alla prima, alla seconda e alla terza ondata. Non possiamo tollerare che tutto questo passi per buono col pretesto della mera logica del profitto. A chi sta al potere, piace dire che “si è fatto tutto il possibile”, noi vorremmo rispondere che invece si sta facendo tutto sbagliato, perché il diritto alla salute e alla vita sono intoccabili e non merce per chi se la può comprare.
Il secondo livello è più delicato. Da sempre sappiamo che la stampa, le testate giornalistiche maggiori e i media sono parte del sistema di potere, non è una novità, la novità è la violenza e l’immediatezza delle conseguenze che ne derivano e, forse, la sfacciataggine con cui notizie spesso con poco contenuto logico vengono costantemente propagate nel web e dai media. Ogni giorno ci svegliamo e facebook, instagram, la televisione e qualsiasi altro strumento mediatico ci rovesciano addosso tre cose: dati, notizie spaventose sulla pandemia e sugli effetti dei vaccini, e poi la parola del governo, come se fosse la grande salvezza dall’alto che viene a risolvere l’apocalisse. È difficile, in una situazione di panico simile, attivare un pensiero critico che permetta di smontare e analizzare le informazioni che ci vengono date, quindi spesso le si prende per buone e ci si abbandona alla paura: si arriva a rifiutare il vaccino, a cercare capri espiatori dei contagi, a teorie complottiste o più semplicemente alla totale confusione, al non sapere cosa fare e quindi non fare niente. Eppure è proprio la capacità critica che qui può salvare, perché aiuta a svelare il non detto in queste notizie. Il primo non detto è che i dati da soli non dicono molto, i numeri andrebbero analizzati, comparati, non semplicemente osservati quantitativamente in tutta la loro grandezza. Questo non per negare la gravità della pandemia, ma per capire cosa davvero oggi sta succedendo, se le cose vanno meglio o se vanno peggio. Secondo grande non detto: chi ci dà questa notizia e perché ce la sta dando. Ovvero, prima di pensare che un vaccino come AstraZeneca causi la morte dobbiamo porci più domande possibili e cercare su fonti attendibili e capire a) se e quanto davvero l’ha causata e b) chi ha interessi nel fatto che quel vaccino venga scartato e perché. In un mondo in cui l’informazione non è neutra, ma strumentale, un’analisi del genere è vitale, perché la cattiva informazione può causare la morte. E la scienza non la possono fare tutti, solo gli esperti, quindi cercare le fonti e vedere se sono valide è necessario. Così come le innumerevoli storie di individui morti di Covid in ospedale dovrebbero essere un motivo per prendersela con l’amministrazione della sanità pubblica, non con chi si abbassa la mascherina al bar per prendere un caffè o con chi scende in piazza a protestare. Tutti questi ragionamenti richiedono impegno, ma è importante non prendere per oro colato la cattiva informazione e invece ricercare l’informazione corretta e scientifica che risulta alla fine quella anche più semplice. Non siamo scienziati quindi quello che possiamo dire è solo l’aspetto più banale: come scritto nei moduli forniti prima della somministrazione del vaccino, l’anticovid, come ogni vaccino, può avere effetti collaterali di vario tipo, bisogna prendere precauzioni a maggior ragione in certe situazioni, ad esempio se si assumono determinati medicinali che possono confliggere col vaccino, gli effetti collaterali gravi esistono, ma non sono così comuni e comunque il modo di somministrazione e monitoraggio del vaccino lo rende sicuro.
Il terzo livello è ancora più delicato perché tocca la mentalità. Siamo abituati a sentire le imposizioni dall’alto come delle limitazioni della nostra libertà e a reagire opponendoci. È giustissimo opporsi specie perché spesso gli obblighi e le imposizioni sono immotivati o motivati solo da una logica di profitto, spesso sono applicati in modo ineguale e a spese dei più deboli e fatti rispettare con violenza e repressione. Bisogna però capire che non tutti i casi sono uguali e non è l’obbligatorietà in sé a rendere sbagliato qualcosa, ma la ragione per cui quel qualcosa è imposto. Ad esempio il divieto di riprendere le forze dell’ordine proposto in Francia nella Legge di Sicurezza Globale è finalizzato ad accrescere il potere delle Forze dell’Ordine e la loro impunità e per questo è sbagliato. L’obbligatorietà del vaccino per chi ricopre una posizione interna alla sanità pubblica è invece finalizzata sia alla tutela particolare di chi è più fragile sia alla tutela più generale dell’intera comunità, di per sé non è sbagliato. Che abbia assunto la forma di “obbligo” si potrebbe contestare, non fosse che dato il proliferare di no-vax, persone male informate e negazionisti, non è possibile limitarsi ad un appello alla responsabilità. Eppure molt*, anche tra i compagn*, contestano queste misure affermando che ledono alla propria libertà individuale, senza però rendersi conto che si tratta della difesa della libertà borghese, individualistica, la base del sistema capitalista. Da sempre difendiamo ideali di cura collettiva, ma la cura collettiva non ammette individualismi. In una situazione di cura collettiva non può darsi il caso che l’affermazione della libertà personale di uno danneggi la libertà e la salute dell’altro. Se qualcun* di noi decide di non vaccinarsi afferma una “propria libertà”, ma lo fa al prezzo della tutela dell’altro, che o si trova costretto a rinunciare a molte delle sue libertà rimanendo chiuso in casa con tutte le conseguenze economiche, psicologiche e sociali, oppure vive il costante rischio di venire contagiato. Sicuramente una libertà è stata affermata, ma che tipo di libertà è, se non quella descritta sopra e che da sempre combattiamo? In questo senso non vogliamo più sentir dire che imporre il vaccino per coloro che lavorano nel e per l’amministrazione pubblica è “dittatoriale”. Non solo parlare in questo modo vuol dire svalutare cosa davvero “dittatoriale” significa, le imposizioni realmente dittatoriali che esistono, ma è anche un modo semplice per voltare la faccia di fronte a una presa di responsabilità collettiva che tutt* dovremmo compiere.
Ormai sembra che si sia in grado di parlare di responsabilità solo in senso negativo, solo per attribuire colpe, trovare i capri espiatori e i responsabili, ma responsabilità, specie se intesa come collettiva, è il motore che permette di portare avanti una società di cura. Significa pensare a quali sono le ricadute delle proprie scelte non solo sulla propria vita, ma sulla collettività, e agire di conseguenza. Significa anche che se io scelgo di non vaccinarmi lo faccio sapendo quali conseguenze questo comporterà per la tutela di tutt*ma anche che non potrò entrare in contatto, tanto meno lavorare in sicurezza, e dovrò seguire limitazioni molto più stringenti, altrimenti la mia libertà calpesterà quella di qualcun altro, o addirittura metterà in pericolo delle vite. La logica della libertà individuale a tutti i costi è quella che ha fatto tenere aperte le fabbriche durante i periodi di picco dei contagi, che ha portato a speculare sulle vite, che fa sì che ancora vi siano brevetti sui vaccini, perché è chiaro che se stabiliamo che ognuno è illimitatamente libero di fare ciò che più gli fa comodo, che lo arricchisce e che lo mette in condizioni migliori, allora stiamo proprio parlando della forma di libertà borghese, la forma della libertà selettiva. Limitare questa libertà non è dittatoriale, ma necessario e vitale. In una fase difficile come questa non possiamo lasciare spazio a individualismi, perché la tutela di tutt* è una responsabilità che abbiamo il dovere di prenderci.
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