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Neoliberismo e Beni Comuni

...Gli ultimi giorni sono strani giorni, quasi giorni di redenzione per la gran parte dei politici del nostro paese e in questa redenzione dovuta ai disastri del Covid si fa un gran parlare male delle disuguaglianze create dal neoliberismo e di come dobbiamo “combatterle”, “riprendendoci” la vita e la salute a partire proprio dai “Beni Comuni”. Ci pare proprio la tipica redenzione da shock, tante belle parole pronte per essere disattese appena passata la buriana.

Di seguito cerchiamo di mettere a fuoco alcuni nodi, per noi centrali, quando parliamo di “Beni Comuni” e Neoliberismo e in che rapporto stanno gli uni con l’altro e viceversa...



-Prima parte-

1-NEOLIBERISMO E BENI COMUNI- Beni comuni


Che la questione dei beni comuni sia in relazione, ed in una relazione oppositiva, con il neoliberismo, è esplicito fin da subito. Si prenda ad esempio la commissione Rodotà. Il suo compito era di prevedere all'interno del codice civile la fattispecie dei beni comuni distinti non solo dai beni privati ma anche dai beni pubblici. La necessità di questa previsione giuridica e della distinzione tra beni comuni e beni pubblici nasce dal fatto che i beni pubblici (ricordiamo le dismissioni delle partecipazioni statali o le cartolarizzazioni dei beni immobili degli enti pubblici) sono di fatto diventati beni a disposizione del potere esecutivo, che ne hanno potuto disporre liberamente. Questa trasformazione nell'uso del bene pubblico è uno dei capisaldi del neoliberismo, secondo cui l'intervento diretto dello stato nelle attività economiche corrisponde ad una sottrazione di risorse all'economia di mercato e quindi da condannare in quanto antieconomico.

Il dibattito sui beni comuni nasce quindi in primo luogo per preservare dei beni dalle politiche di privatizzazione e di svendita del patrimonio pubblico operata dai poteri esecutivi. Esempio eminente è la battaglia per il riconoscimento dell'acqua come bene comune. In questa prima istanza il bene comune viene inteso per lo più come bene naturale: acqua, risorse naturali che afferiscono al demanio, il patrimonio naturalistico e paesaggistico (si può notare che in alcuni paesi del nord Europa si inizia a parlare di beni comuni proprio in relazione alla possibilità di poter accedere a luoghi di interesse naturalistico per delle passeggiate, infrangendo il divieto di accesso alla proprietà privata). Ad essi si aggiungono però ben presto altri beni o servizi che si ritengono essenziali: salute, istruzione, cultura, fino alla connessione alla rete internet. Si giunge in definitiva alla esigenza di definire i beni comuni in termini funzionali. Nelle parole di Rodotà beni comuni sono quei beni indispensabili perché ogni persona possa esercitare liberamente i propri diritti di cittadinanza.

Bene comune è il diritto ad avere diritti.

Si capisce che qui si matura un salto di qualità enorme. Lo sguardo non è più rivolto a cosa ma al come del bene comune. Il bene comune non è cioè separabile dalla relazione che lo qualifica in quanto bene comune, e la qualità di questa relazione è quella di creare cittadini attivi, che non sono solo ricettori passivi di un diritto ma determinano la qualità del diritto nel momento in cui si prendono cura del bene comune e cioè lo creano e lo determinano in quanto bene comune.

Questa svolta circa la natura e la qualità relazionale del bene comune ha un importante precedente nella riforma del titolo V della costituzione italiana che introduce il principio della sussidiarietà orizzontale. Questo principio è importante perché elimina - almeno nelle intenzioni - il principio gerarchico sia tra istituzioni che tra istituzioni e cittadini. Anche i cittadini e non solo le istituzioni pubbliche possono svolgere azioni per perseguire interessi generali e per farlo non devono sottostare a permessi o autorizzazioni, anzi devono rapportarsi alla pari con le istituzioni pubbliche e pretendere da esse l'assunzione di responsabilità che le spetta in merito all'interesse generale che si sta perseguendo.

Discorso interessante e promettente ma anche carico di insidie.

Innanzitutto chiediamoci chi è il cittadino e quali sono gli interessi generali.

Cittadino è senz'altro anche un imprenditore e un interesse generale e senz'altro la salute pubblica. Quindi un imprenditore che crea un'impresa sanitaria può essere equiparato, in termini di diritto, ad una istituzione sanitaria pubblica. In genere, dei cittadini che hanno le risorse per avviare un'impresa che si prende cura di un interesse generale, un bene comune, è legittimato ad amministrare questo bene, ovviamente con i correnti criteri di remuneratività di ogni impresa privata. Si declina in sostanza come inclusione delle funzioni pubbliche all'interno della logica d'impresa. Si pensi al welfare aziendale o alla gestione dei rifiuti ma anche all'organizzazione di natura privatistica delle aziende pubbliche. Dall'altra parte cittadini senza mezzi possono prendersi cura di beni pubblici qualificandoli come beni comuni ma, in questo caso, solo dopo che le istituzioni, che sono proprietarie di quei beni pubblici, ne hanno autorizzato l'uso e la cura, siano essi parchi pubblici, piazze o altro.

Nasce qui un altro importante passaggio quello dei beni comuni emergenti. Il disimpegno delle amministrazioni pubbliche non si è infatti limitato alla privatizzazione e alla svendita del patrimonio pubblico, ma ha anche sostenuto una trasformazione delle città, in cui sono prevalsi gli interessi privati al guadagno facile ed immediato. Questo ha significato uno sviluppo urbanistico fondato sul consumo di suolo e sull'abbandono del patrimonio esistente. L'uso dei beni abbandonati, da parte dei cittadini senza mezzi, rende questi beni immediatamente dei beni comuni.

Non solo perché l'uso di questi beni risponde ad esigenze e bisogni di carattere generale, come il bisogno di una abitazione o di un luogo di creazione culturale, ma soprattutto perché la loro gestione risponde a criteri che, nella sostanza e non solo nella forma, fanno di un bene un bene comune: condivisione delle decisioni, solidarietà, inclusione sono indissociabili dal bene comune, sono ciò che lo distinguono dall'egoismo del privato e dal potere del pubblico.

Ciò che caratterizza il neoliberismo non è una rivoluzione tecnologica ma una nuova forma di governo fondata sull'idea della mancanza di alternative al sistema economico e sociale attuale. Sul frontespizio del neoliberismo campeggia lo slogan della Tatcher: there is no alternative. La fine delle ideologie ha significato la delegittimazione di ogni idea alternativa, che il postmodernismo ha ridotto a opinioni, dietro cui è sempre possibile scorgere un interesse o una presunzione soggettiva.

Ma proprio l'annullamento di ogni alternativa è stato il motore perché ogni aspetto dell'esistenza venisse inglobato all'interno dei processi economici di creazione di profitto e di accumulazione di ricchezza. Che ogni aspetto della vita individuale come di quella sociale venga asservito alle logiche della creazione di profitto e assoggettate alla espropriazione su cui si fonda l'accumulazione di ricchezza ha sviluppato enormemente i caratteri sociali dalle forze produttive. La produzione ha perso i suoi connotati di semplice produzione di beni materiali. Anche la produzione del più banale bene di consumo mostra ormai in primo piano il carattere sociale del bene che produce e del suo processo di produzione. Il pieno dispiegamento della produzione di prodotti il cui contenuto è immediatamente sociale, siano essi la salute o la cultura, lo svago o lo studio, l'informazione o la cura, rendono palese la loro contraddizione con rapporti di produzione fondati sul perseguimento di interessi privati o l'imposizione di rapporti di potere.

Gli attuali rapporti di produzione non sono l'esito di uno sviluppo storico per quanto distorto, ma lo impediscono. Siamo sulla soglia della presa di coscienza di questo stato di cose. Senz'altro da parte di chi esercita potere. Poiché è ormai evidente almeno a loro che se è possibile non cambiare nulla e solo perché lo si vuole e solo imponendo questa volontà l'attuale stato delle cose può perdurare.

Dalla parte opposta stanno coloro che lottano per il riconoscimento dei beni comuni.

I beni comuni sono non proprietari essi si sottraggono alla appropriazione non per via di una volontà soggettiva o di una ideologia ma proprio per quelle caratteristiche che li rendono adeguati alle attuali forze sociali della produzione e riproduzione della vita.

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