di Tegoland
Si è forse iniziato adesso, anche nell'alcova istituzionale, a prendere atto che "femminicidio" e patriarcato siano correlati, almeno nel lessico vengono adesso messi assieme E' anche vero però che quando leggiamo questa correlazione su un giornale, o la ascoltiamo in radio, il patriarcato sia quasi sempre stigmatizzato come atteggiamento individuale, "antiquato" ed alieno alla "nostra" società. Un retaggio che viene da lontano. Una faccenda rimossa di una "cultura" antiquata e superata. Oppure, al contrario, perchè al peggio non ci si abitua mai, è stigmatizzato come "culturale", come se fosse in quanto tale ineluttabile. Questo testo apre un'indagine su ciò che è alieno e ciò che invece non lo è. E' una riflessione sulle radici della società, che punta a indagare anche la cima dell'albero, rifiutando il dogma sostanziale dell'Ineluttabile destino, che è dogma proprio delle religioni quanto del neoliberismo.
Cattolici polacchi che chiedono a Dio di liberarli dai migranti al confine
In Italia c’è il brutto vizio di buttare tutto in caciara, ma quando non la si butta in caciara anche l’Italia si accoda al modello preminente in occidente di sviare il dibattito, di spostarne il fulcro, di evitarne il nodo centrale. L’esercizio principale è quello di fare e parlare di tutto tranne che di ciò che sarebbe utile a risolvere le problematiche scatenanti questo o quel dibattito.
L’esempio massimo lo abbiamo ogni volta che avviene un femminicidio, e quando questo femminicidio è commesso da immigrati la situazione peggiora ancora di più.
Il dibattito nato dalla vicenda di Saman Abbas è emblematico di quanto accennato sopra e soprattutto ci da l’idea di come anche la parte sinistra dello schieramento politico, soprattutto giornalistico, abbia accettato questi piani di dibattito utili a conservare lo status quo e capaci di assuefare e tranquillizzare allo stesso momento. Schemi parole e frasi che si ripetono, in questo caso, ad ogni femminicidio perpetrato in ambienti legati all’immigrazione.
Dobbiamo dire che quello di Saman Abbas non è ancora un femminicidio certo, il corpo della giovane ragazza che viveva con la famiglia nelle campagne reggiane non è ancora stato trovato, l’unico parente in carcere non pare abbia granché da dire per arrivare al ritrovamento di Saman (viva o morta), gli altri parenti sembrano irraggiungibili e ora le ricerche sembrano ad un punto morto. Ma Saman è stata già data per morta, assassinata da qualcuno di famiglia perché non intendeva accettare un matrimonio combinato e il dibattito è nato attorno a questo fatto dato per certo. Una ragazza è stata presumibilmente assassinata (e se non assassinata riportata in un luogo dove non può ribellarsi a tale imposizione come il suo paese di origine, il Pakistan) perché non voleva rispettare dettami culturali e religiosi del proprio paese di origine, il Pakistan.
E proprio qui sta il punto dirimente della questione che vogliamo sollevare. La lettura e il filo rosso che va dai giornali liberal fino a “Il Manifesto”(purtroppo) che produce operazioni tranquillizzanti e allo stesso tempo fuorvianti di separazione netta tra cultura e religione. Questa operazione è utile a tutti, a chi governa, a chi amministra, al cittadino, e anche a tutti quelli che nel “mainstream” si collocano a sinistra, ben inseriti e a proprio agio all’interno dello schema fittizio del sistema neoliberale. Il brutto è che queste operazioni svianti vanno proprio a danno degli stessi in quanto, come in questo caso, si rivelano perfino controproducenti in termini politici e sociali per quella stessa parte che consapevolmente o meno si presta al giochino.
Oggi, sulla vicenda e sul dibattito pubblico che si è avuto immediatamente dopo i fatti è calato il silenzio nonostante i femminicidi continuino ad essere all’ordine del giorno.
Fin dal primo articolo che andasse oltre la cronaca c’è stata la corsa alla separazione netta tra cultura e religione con interviste a rappresentanti delle organizzazioni musulmane moderate e a singoli esponenti di fede musulmana della politica italiana (in generale del PD), i quali oltre a prodigarsi nel ribadire che: queste cose sono questioni culturali di piccole nicchie, questioni in cui la religione non c’entra, aprono anche ad una critica politica per cui: dalla sinistra troppo silenzio, la sinistra è troppo timida, a sinistra c’è timore di affrontare questo argomento ecc ecc.
Accettare questa separazione, da parte nostra, è accettare le regole di un gioco perverso e autocondannarsi all’angolo.
La religione influenza la cultura, anzi meglio, la religione è il nucleo fondante della cultura di qualsiasi paese che ha permesso alla religione di crescere con e dentro lo stato. La religione fin dai tempi antichi(ssimi) è stata tra gli attori principali dell’evoluzione dei sistemi sociali assieme ai sistemi economici evoluti grazie all’evoluzione della tecnica e della scienza. Le religioni, totemiche, sciamaniche, politeiste e infine le monoteiste sono il trait d’union degli ultimi dodicimila anni di storia. Ma se le religioni totemiche erano la base di società comunistiche in cui l’accumulo era vietato dalle regole sociali l’avvento delle religioni sacerdotali e fino ai giorni nostri produce la degenerazione delle forme sociali egualitarie accompagnando la nascita della proprietà privata, dello stato (in quanto entità giuridica) della disuguaglianza e delle classi. Le religioni “moderne”, qualsiasi esse siano sono parti integranti del potere statale, a qualsiasi latitudine del globo(a parte rare eccezioni), sono politiche, fanno politica, fino in certi casi ad essere il valore che determina proprio le leggi degli stati. In Europa è da circa il trecento DC, da quando il cristianesimo venne assunto a religione dell’impero romano, che esso determina la “cultura europea”. Tra alti e bassi, tra scismi e riforme ancora oggi nel 2021 il cristianesimo è rivendicato come valore fondante dell’Europa, addirittura attraverso la battaglia perchè esso sia messo nella carta costituente proprio dell’UE, in modo da rimarcare il carattere predominante e quindi di base della cultura europea. Ebraismo, Induismo e Islamismo, le altre tre grandi religioni a livello mondiale, se possibile sono ancora più invasive negli affari di stato e nel plasmare la cultura e le società nei territori di professione.
La religione, al giorno d’oggi, è ancora parte integrante della cultura (predominante). Cultura e religione all’interno di un sistema di potere classista sono inscindibili.
Chi pratica questa operazione, chi pubblicizza una scissione che non esiste,ambisce al mantenimento dello status quo, al contempo chi presta il fianco a questa operazione è nel migliore dei casi inconsapevole vassallo dei primi.
E’ nostro dovere batterci a livello politico e sociale contro un discorso di questo tipo.
Le religioni sono nemiche per l’emancipazione del genere umano, finché le religioni saranno un fattore politico e gli si concederà di “essere” cultura di base non solo casi come quello di Saman Abbas si ripeteranno, ma le lotte per le conquiste di diritti sociali e civili troveranno enormi ostacoli sul loro cammino e soprattutto le poche conquiste sarebbero per il “qui ed ora” e non in prospettiva realmente emancipatrice e rivoluzionaria.
Infine c’è quel non tanto piccolo particolare che si accompagna a quanto descritto sopra, le accuse alla sinistra che non ha abbastanza coraggio ecc ecc… Strali e appelli che arrivano anche da personalità di quella stessa sinistra accusata di non avere coraggio. Ma avere coraggio di cosa? Non è possibile che uomini e donne, ancorché politici ma che sono innanzitutto fedeli di una religione, producano coraggio e quindi azione politica e culturale contro la propria religione e contro ciò che essa stessa contribuisce a produrre. Anche qua accettare o prestare il fianco a questo genere di accuse è decisamente controproducente, non solo per quel genere di sinistra ma anche per noi anche se centriamo poco o nulla con quel mondo.
Per quel che riguarda noi, la nostra parte, questa debolezza ideologica rispetto alla questione religiosa si riverbera in particolare nel come ragioniamo e impostiamo la solidarietà, nel come costruiamo percorsi di lotta e di emancipazione con i migranti, nel come affrontiamo le battaglie di genere e sulla dimensione patriarcale della società.
E necessario dunque affiancare a questi percorsi di lotta una rinnovato approfondimento ed una più decisa critica al binomio cultura/religione per contrastare adeguatamente il discorso dominante e uscire dall’angolo nel quale ci siamo accucciati a partire dagli anni novanta, e cioè da quando la salvezza, da processo di trasformazione del presente e di lotta contro i rapporti di potere, e tornata ad assumere le sembianze di una salvezza individuale, di un rapporto immediato tra l'uomo solo e il dio mercato.
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