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#IO APRO PER ME STESSO, DEL RESTO NON MI INTERESSO.

di @tegoland*


La “protesta” di venerdì 15 gennaio #IoApro, è forse la prima vera incrinatura nel fronte di uno dei settori chi sta maggiormente subendo la crisi sul piano economico. La categoria in oggetto è quella che oggi viene più comunemente definita con l’appellativo “ristoratori”. Piccoli imprenditori costretti a tenere chiusa la “ditta” causa pandemia e ad essere legati al sottile filo degli aiuti governativi, con l’aggravante di essere in Italia territorio famoso per cui la burocrazia riesce a determinare in peggio la vita delle persone molto più che nel resto d’Europa.

Qua e là, in questo anno pandemico c’è già stato qualcuno che ha cercato di eludere le chiusure provando a tenere aperto il proprio negozio(ristorante, bar pub…), ma è rimasto un fenomeno circoscritto quanto estremamente individuale e individualista e a guardarci dentro scopriamo che in un buon numero di questi casi il ribelle era spesso un minimizzatore dei pericoli derivanti dal Covid-19 quando non un fiero negazionista.

Nei mesi scorsi non sono mancati tentativi, piuttosto maldestri, di riunire una parte di popolazione sotto l'egida minimizzatrice e negazionista. Posizioni assunte dalla destra, ma che oggi a quasi un anno dallo scoppio della pandemia paiono armi spuntate. Ma proprio il tempo trascorso comincia a mostrare il conto, i problemi economici per lavoratori cassaintegrati, P.IVA, imprenditori, iniziano a salire in superficie. Inizia a serpeggiare vera esasperazione e dove questa esasperazione non trova una collettività pronta a sorreggersi a vicenda scivola sempre più nell’individualismo rancoroso, un piatto ricco per la destra italiana.

Con #IoApro si produce un salto di qualità nel nesso tra proteste e negazionismo. La tipologia e la qualità del discorso pubblico, i post sui social, i messaggi nelle chat telegram disegnano uno scenario molto chiaro. In questa protesta la “disperazione” coincide nella maggior parte dei casi con la negazione del Covid-19 da una parte o con l’odio verso questo governo dall’altra. C’è da sottolineare che questi due piani vanno sempre a braccetto, odio verso questo governo(considerato di sinistra) e negazionismo sono sposati fin dall’inizio della pandemia, anzi diciamo che il secondo è il veicolo per potere dare sfogo al primo. In più, l’utilizzo massiccio della locuzione “Dittatura Sanitaria” ci indica chiaramente la parte ove si sviluppa una protesta del genere, che è quella stessa parte che nega la scienza e che da anni contribuisce a declassificare la conoscenza, l’uso e il significato delle parole e dei concetti che dovrebbero esprimere.

Possiamo e dobbiamo categorizzare questo tipo di proteste. Sono proteste caratterizzate dall’individualismo tipico della società di oggi. Chi “protesta” non si importa di ciò che lo circonda, i sacrifici a cui la maggior parte della popolazione è sottoposta. A questi piccoli imprenditori importa solo della propria impresa e del proprio portafoglio, la cifra è questa.

E’ innegabile che il comparto della ristorazione(e affini) è tra i più penalizzati da questa pandemia, ma dovremmo avere la capacità di comprendere che non è la pandemia in sè ad avere messo in ginocchio la categoria ma è il sistema economico che ne ha determinato le difficoltà all’interno della crisi pandemica. Un sistema basato sul primato e sull’autoregolamentazione dell’iniziativa privata su quella pubblica non può rispondere in maniera efficiente quando l’impresa privata entra in difficoltà. Il governo italiano, come il resto dei governi occidentali, dopo il cambio repentino di rotta ai vertici della UE(parziale e a tempo determinato), è intervenuto per cercare di attutire il colpo. Blocco dei licenziamenti, blocco della riscossione di parte dei tributi e ristori economici sono le azioni principali messe in campo.

Ma tali misure non bastano.

Non perché siano errate le misure, anzi, ma perchè non sono finanziate a sufficienza. La quantità di denaro messo a disposizione dei ristori, ma in generale del commercio al dettaglio, è poca e non basta a soddisfare il bisogno di chi è costretto a tenere chiusa l’attività, ma anche di chi può tenere aperto ma è costretto a fare i conti con la mancanza di clientela. I soldi, necessari a fare passare questa pandemia senza troppi problemi, ci sarebbero, solamente che vengono dirottati da altre parti. Questi soldi finiscono nelle mani di quelli che vengono chiamati “grandi imprenditori”, gli industriali i quali essendo organizzati in Confindustria e/o altre associazioni di categoria dello stesso tenore da decine e decine di anni son capaci di drenare le ingenti risorse messe in campo e spesso e volentieri a discapito di altri settori dell’economia, producendo esattamente quello che vediamo oggi. Questi “grandi industriali” (divoratori di denaro pubblico in mercato libero sia in forma diretta che in forma indiretta come sgrave fiscali) ad inizio pandemia oltre ad avere drenato la maggior parte di risorse sono anche riusciti a non chiudere mai capannoni e capannoncini, a continuare la produzione in maniera pressoché stabile. Questo risultato oltre al fattore e al peso di Confindustria è dovuto anche al fatto che l’Italia, come la maggior parte dei paesi occidentali ha un'economia basata sull’industria la quale è soggetta al mercato e alla concorrenza mondiale e quindi come settore “pesante” dell’economia non può essere bloccato. Anzi va aiutato il più possibile perchè una perdita di commesse sull’ agguerritissimo mercato mondiale vuol dire la perdita definitiva delle stesse.

Per contro, il settore della ristorazione non è un mercato strategico a livello internazionale, è un mercato circoscritto con “concorrenza” tutta interna che da sempre è contraddistinto da un continuo turn over. Qualche centinaio di ristoranti/bar/pub e affini si possono sacrificare, quello che non si può sacrificare è l’industria con i suoi pomposi industriali.

Dove andranno a finire dunque i miliardi del Recovery Fund?

Lo spettacolo indegno che si sta consumando alle camere parla anche di questo, c’è un'enorme torta da spartire. Gli sherpa e i lobbisti, quando non direttamente i parlamentari sono già al lavoro per spartirla. Come sempre, come descritto sopra, i grandi industriali prenderanno quasi tutto. Gli altri settori, tra cui la ristorazione, dovranno spartirsi le briciole che verranno giocoforza lasciate cadere dalla tavola.

Non è possibile dunque pensare affrontare una crisi come questa senza tenere conto dei meccanismi che regolano l’economia capitalista, i movimenti degli attori economici e politici in campo e le scelte di chi è chiamato a governare i processi in atto.



*di professione ristoratore.

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