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IL PRINCIPIO TERRITORIALE. UN'ALTERNATIVA ECOLOGICA E DEMOCRATICA AL CAPITALISMO DIGITALE.

Aggiornamento: 22 mag 2021

di A. M.

Quest’ultima settimana abbiamo assistito ad una vera e propria sbornia collettiva relativamente all’approdo a Reggio della multinazionale “Silk Faw”. Questa multinazionale di dubbia composizione verrebbe a “localizzare” sul territorio un mega impianto industriale per la produzione di macchine elettriche di lusso. Politici, sindacalisti, industriali e “intellighenzia” esultano. L’economia del lusso, i migliaia di metri cubi di cemento, un nuovo casello autostradale sono l’esempio di come si scambi un principio di territorialità sano da uno votato al business sfrenato e ai numeri asettici che regolano l’economia capitalista.

Proponiamo una lettura dell’ultimo libro di Alberto Magnaghi, scritto proprio sul “Principio di Territorialità”.





Alberto Magnaghi, impegnato da decenni non solo nello studio ma anche nella progettazione di nuovi assetti territoriali che mirano a ricreare un equilibrio tra ambienti naturali e paesaggi umani, è tra i fondatori della Società dei Territorialisti (http://www.societadeiterritorialisti.it/) e della rivista Scienze del Territorio. Il suo recente libro, Il principio territoriale Bollati Boringhieri (https://www.bollatiboringhieri.it/libri/alberto-magnaghi-il-principio-territoriale-9788833934884/) può essere inteso come una elaborazione di un percorso di ricerca e di attività, di ricerca-azione come dice lo stesso autore, di carattere corale, che mobilità conoscenze, studi, ricerche, percorsi progettuali che coinvolgono diversi campi del sapere ma anche diverse esperienze pratiche, frutto della lunga attività professionale e delle molteplici relazioni costruite nel tempo dall'autore.

Il principio territoriale è perciò una vera e propria proposta di ridefinizione e ricostruzione della relazione tra civiltà umana e natura, avanzata con un profondo senso pragmatico, mirando a ciò che è necessario ma anche possibile agire per ristabilire uno sviluppo equilibrato e consapevole con la terra in cui viviamo.

Sinteticamente si possono cogliere due capisaldi, o due premesse che sono anche espressione della necessità di avere alcune semplici ma chiare idee per poter cominciare a discutere e ad agire su questioni che sembrano così grandi e così lontane dalle nostre capacità e possibilità di cambiare lo stato attuale delle cose.

La prima idea chiara riguarda come percepiamo la questione ecologica, lo squilibrio che le attività umane, i processi di industrializzazione hanno e continuano a produrre nel rapporto dell'umanità con la natura. Si tratta di prendere le distanze da ogni forma di idealizzazione della natura, che da un lato conduce alla impotenza di chi vorrebbe salvare la natura dall'uomo, come se fosse la natura a dipendere dall'uomo e non l'uomo dalla natura, esasperando, contro le sue stesse premesse, la potenza dell'umanità ma rendendola così astratta e ideale da ribaltarla in impotenza, in un precetto di inazione e in una colpa connaturata al genere umano. Questa stessa idealizzazione del rapporto con la natura conduce, sul versante opposto, a quella politica di greenwashing che vuole ridurre il rapporto con la natura ad una misura economica, fatta di compensazioni tra libertà di inquinare e piantumazione di alberi, tra libertà di cementificare e creazione di aree verdi, tra ampliamento della rete di autostrade e tangenziali e piste ciclabili. Sono tendenze che, tutt'altro che compensare la crescita di squilibri ambientali, conducono alla costruzioni delle megacities, a quella agglomerazione urbana che porta con sé segregazione delle periferie, esclusione sociale, e applicazioni tecnologiche con finalità di isolamento e di controllo sociale.

Per affrontare con senso pratico e sapienza gli evidenti squilibri ecologici che lo sviluppo economico e industriale provoca, occorre allora superare la dicotomia fittizia tra naturale e artificiale, tra natura e civiltà umana, per coglierli nella loro effettiva relazione. È questa la chiara idea che sostanzia la proposta territorialista. Il territorio, con i suoi equilibri ecologici, è l'esito della relazione tra uomo e natura, che nel corso della storia ha prodotto quei paesaggi che costituiscono l'identità sensibilmente percepibile di una regione, di una città di un borgo.


Conservare e ricostruire un rapporto territoriale, un paesaggio equilibrato dell'insediamento umano nella natura è il senso della proposta di controesodo verso la terra avanzata da Alberto Magnaghi. Con essa l'autore ci invita a riflettere sulla fine, una fine che si approssima già da alcuni decenni, della società industriale. In questione non è la sparizione della attività manifatturiera, del settore secondario per un ritorno alla attività primaria, ma la soppressione della centralità ad essa attribuita negli ultimi secoli, a cui sono state sacrificate le nostre città e i nostri territori, per privilegiare altre attività, rispondendo ai bisogni attuali di equilibrio ecologico e di una produzione tesa alla valorizzazione dei territori come luoghi della vita sociale e civica.

In questione è la direzione da dare allo sviluppo della società postindustriale, se essa può essere ancora lasciata in mano alle forze della globalizzazione neoliberista, che attribuisce ai mercati finanziari e alle imprese multinazionali il potere di decisione, che privilegiano i flussi (di lavoro, di merci, di ricchezza) riducendo i luoghi a nodi di una astratta rete cibernetica, isomorfi e intercambiabili.


La proposta territorialista ha allora anche un preciso segno politico. Solo ridando potere decisionale ai territori, con istituzioni politiche bottom-up, si può creare quella "coscienza di luogo" che Alberto Magnaghi ritiene essere la premessa per un sistema economico che ha come suo scopo la cura dell'equilibrio territoriale, come rapporto co-evolutivo tra insediamento umano e natura.

Il territorio acquista allora il valore di patrimonio della collettività, di bene comune da conservare e valorizzare, opponendosi al suo sfruttamento e depauperamento per attività economiche il cui unico fine è accumulare ricchezza. Valorizzare il patrimonio territoriale vuol dire, ad esempio, creare cicli produttivi e di consumo che si curino del "metabolismo urbano, con la chiusura dei cicli dell'alimentazione, dell'energia, delle acque, dei rifiuti." Il patrimonio territoriale, in quanto ricchezza condivisa, bene comune degli abitanti/produttori, diviene così "mezzo di produzione della felicità".


La forza del capitalismo contemporaneo non si misura più solo nell'impoverimento dei lavoratori, nella creazione dell'esercito industriale di riserva, che Marx indicava come legge generale dell'accumulazione capitalistica, ma nella messa in discussione degli equilibri territoriali che le civiltà umane, nel corso lungo della storia, hanno saputo costruire. Lotta al capitalismo e costruzione di un nuovo equilibrio territoriale, di un nuovo modo di produzione, sono ormai inscindibili. Lo sfruttamento del lavoro non si riconosce ormai solo nella povertà del salario, ma anche nella povertà culturale e umana che fa del lavoro uno strumento di distruzione dell'ambiente e delle città

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