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GUERRE CULTURALI E NEOLIBERISMO

Recensiamo l'ultimo libro di Mimmo Cangiano perché descrive la soglia in cui ci troviamo. Che lo si voglia o no le lotte hanno una soglia da attraversare: da che parte stare. Poiché, sempre che lo si voglia o no, la nostra è una società capitalista e le lotte, che lo si voglia o no, devono misurarsi con la lotta di classe. 





Mimmo Cangiano Guerre culturali e neoliberismo. Ed. Nottetempo, 2024.


Di A.M.


Ogni singolo capitolo del libro inizia con un breve aneddoto che racconta di una esperienza avuta dall'autore nei campus universitari statunitensi, dove lavora dal 2010. Queste esperienze sono lo spunto da cui prendono avvio le riflessioni del libro, che partono da modi di esprimersi diffusi nella cultura statunitense, riflessioni che successivamente si sviluppano attraverso una bibliografia anch'essa in gran parte di autori che lavorano e pubblicano negli USA. 

Oggetto di queste riflessioni sono le cd guerre culturali, cioè una tendenza, divenuta dominante, di interpretare i conflitti sociali nei modi di conflitti culturali. La critica di questa tendenza viene svolta attraverso due direzioni. La prima vuole mostrarne la genealogia, che viene individuata nella ricezione da parte del mondo accademico statunitense della filosofia post strutturalista francese, la cd french theory. La seconda intende indicare, con toni anche polemici, la deriva a cui conduce questa tendenza, ovvero alla sua totale iscrizione all'interno della società e della psicologia neoliberista. 

La ragione di questa critica consiste nell'idea che le guerre culturali, incentrate ognuna su una singola forma di discriminazione e di oppressione, riproducono la frammentazione della società neoliberista, e ognuna di esse è facilmente riassorbibile attraverso forme di riconoscimento, seppure parziale o anche solo apparente, di diritti che non sono in grado di scalfire l'ordine sociale, ma al contrario depotenziano e sviliscono i conflitti e le rivendicazioni. 

“Non è un caso che le lotte rifluiscano progressivamente verso una privatizzazione delle proprie tematiche, uno slittamento nell'orizzonte del personale che, più che con la trasformazione del personale in politico, sembrano avere a che fare con la credenza (una delle basi ideologiche del neoliberalismo) che il pubblico si struttura a partire dal privato, una credenza che si sviluppa proprio a causa dell'avvertita immodificabilità del pubblico” (p. 138)


L'autore procede fino ad indicare i limiti che caratterizzano le guerre culturali, ed essi sono la incapacità di ripensare in modo dialettico la relazione tra struttura della società e sovrastruttura culturale, e l'aver perso di vista la centralità della lotta di classe, in quanto lotta al modo di produzione capitalista. 

Caratteristico delle guerre culturali, secondo l'autore, sono da una parte l'idea che la differenza di classe sia solo una tra le tante differenze causa di discriminazione. Riducendo le ragioni dei conflitti a rivendicazioni di riconoscimento delle differenze si trasformano i soggetti agenti in vittime e si introduce una sorta di rapporto concorrenziale in cui misurare la gravità o l'ampiezza della discriminazione subita. 

Dall'altra parte il capitalismo viene identificato con rapporti di lavoro opprimenti, gerarchici e autoritari, disconoscendo che il capitalismo, per la sua essenziale natura concorrenziale, si organizza in modi e forme fluide, in grado di adattarsi alle lotte e alle rivendicazioni per poter sussumerle entro i propri processi di valorizzazione. Per cui l'identità di classe non può essere ridotta ad una figura sociologica, tipicamente la classe operaia industriale. Essa va piuttosto intesa come differenza che struttura la società nel suo insieme e all'interno del quale ogni altra differenza o discriminazione accresce la capacità del capitalismo di controllare e sfruttare ogni aspetto del vivere sociale. La differenza di classe dovrebbe cioè ricondurre a riflettere sulle trasformazioni del modo di produzione capitalista inteso come struttura che domina la società. Solo a partire dalla consapevolezza che esiste una struttura capitalistica della società e che un vero cambiamento può avvenire solo se si incide su questa struttura, allora  anche il rapporto tra struttura e sovrastruttura può tornare ad essere dialettico e scongiurare la sua sussunzione nei processi della valorizzazione capitalista. 


“Non si tratta neppure di pensare a un ‘essenzialismo strategico’ della classe come luogo privilegiato della lotta politica… Si tratta invece di comprendere come la lotta di classe… sia in realtà il principio strutturante nel quale tutti gli antagonismi si organizzano, perché è un principio basato non su chi sei, ma su qual è la tua posizione rispetto al piano dello sfruttamento e al ‘lato’ per cui scegli di parteggiare (which side are you on?) “ (p. 158)

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