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DIRITTO ALLA CASA E DINTORNI, BREVI NOTE DAL CORTEO


di @tegoland


Sabato 19 novembre abbiamo attraversato le strade della città con un corteo.

Per preparare e indire il corteo ci è voluto coraggio perché viviamo in un paese in cui la disponibilità a mobilitarsi è minima. Un paese stremato da venti anni di politiche neoliberiste, da tre anni di pandemia che sta lasciando profonde cicatrici nel tessuto sociale e in ultimo un paese ancora frastornato dagli effetti di una guerra che poco ci riguarda in sé ma che invece investe pienamente le nostre vite quotidiane.

È stato un corteo per il diritto alla casa, un diritto che è sempre più negato a fasce sempre più ampie di popolazione. Nel sistema capitalista ogni cosa deve essere economicamente valorizzata al massimo e negli ultimi anni con lo sviluppo del web e delle cosiddette piattaforme l’abitare, che sarebbe letteralmente l’avere una dimora o risiedere in un luogo, ha conosciuto un salto di qualità sia nel processo di valorizzazione che nello sfruttamento di quanti aspirano ad abitare una casa da affittuari. Il passaggio neoliberale da bene primario a merce è compiuto e oggi mostra tutta la sua efferatezza. Questo assioma trova la sua espressione principale nel mercato privato anche se non vanno dimenticate le responsabilità del pubblico che attraverso una trentennale politica remissiva ha oggi numeri talmente bassi da essere ininfluente nella ricerca di soluzioni.

Sono proprio i proprietari di case attraverso le loro associazioni di rappresentanza quelli che hanno reagito in maniera maggiormente scomposta nei giorni antecedenti il corteo, in particolare i “piccoli” proprietari, i quali hanno tentato di presentarsi come parte lesa invece che parte del problema, riuscendo nel loro intento di passare per “vittime” degli affittuari (che non pagano, che lasciano le case distrutte ecc ecc) trovando difese e alleati anche in ambienti non sospetti, riuscendo altresì nel difendere l’intera categoria dei proprietari di case quand'anche i multiproprietari. A noi non deve fare differenza il numero di immobili che una persona detiene perchè ogni proprietario che mantiene vuoto un immobile o un appartamento concorre alla speculazione rispetto al diritto all’abitare come diritto universale e al mantenimento della rendita parassitaria verso la società intera, perché la rendita è un caposaldo del sistema sociale odierno e la rendita di pochi è l’esclusione dei molti dal soddisfacimento dei bisogni. Che siano immobili di piccoli proprietari multiproprietari società immobiliari o di aziende di un qualsiasi ente pubblico rimangono case/appartamenti vuoti che, ad oggi, da soli basterebbero a soddisfare il bisogno di chi vive in precarietà abitativa o in vero e proprio disagio abitativo. Teniamolo bene a mente.

Il corteo, come detto, è stato un corteo coraggioso che è riuscito nell’intento parlare e far parlare in maniera generale di una problematica che riguarda trasversalmente la composizione sociale della città, che ha trovato nella sua componente migrante le fondamenta per la costruzione della piazza ma che è riuscito ad esondare dai contorni etnici della problematica in essere. Non si è data la divisione del problema politico tra italiani e migranti ma c’è stato un generalizzato e trasversale approccio alla problematica sollevata dal corteo la cui preparazione capillare, che poggia su anni di efficace lavoro di relazioni e di costruzione di discorso pubblico, ha permesso che la percezione cittadina il racconto giornalistico e il dibattito si concentrassero sul tema politico e non sul segmento sociale maggioritario e più agguerrito all’interno del corteo. Un passo avanti notevole rispetto al passato in cui lo spauracchio migrante veniva utilizzato per eludere le problematiche di volta in volta portate e per sviare il discorso. Ed è dovuto a questo che l’amministrazione cittadina non ha potuto voltarsi dall’altra parte come troppo spesso accade quando le rivendicazioni si prendono la scena lungo le strade della città. Alla fine del corteo una delegazione è salita a colloquio con l’assessore di riferimento riuscendo ad ottenere un tavolo di trattative che avesse come protagonisti tutti i soggetti coinvolti rispetto alle problematiche relative all’abitare. Un primo tavolo tra le parti ha già avuto luogo, come anche una nuova assemblea delle realtà promotrici della manifestazione. Questo denota come le amministrazioni, se lo vogliono, possano essere ancora in grado di fare ciò per cui sono nate e tra le cui priorità ci sarebbe anche il regolare la vita tra gli abitanti che ne compongono la cittadinanza soprattutto nei casi in cui vi siano interessi contrapposti in gioco. Non c’è da illudersi, le trasformazioni operate dal neoliberismo in questi lunghi anni sono tutte ben salde, la difesa della proprietà privata, della rendita, dell’accumulazione anche quando esse costringono una consistente fetta della società in povertà non sono ancora messe in discussione, e in eguale misura, che siano destra o centrosinistra a parte leggere sfumature il discorso è il medesimo per cui la difesa degli interessi privati rimane al primo posto nella scala “dei valori”, e sono proprio questi valori che vanno invertiti e le priorità riaffermate, dalle piazze e in forma collettiva.

Un ultimo aspetto sul quale è bene soffermarsi riguarda la piazza in sé. Lungo il serpentone vi era una evidente divisione spaziale tra la testa con i migranti e la coda composta per lo più da compagni e solidali, che è un classico delle manifestazioni indette su problematiche che riguardano i migranti più da vicino.

Questa divisione ci dimostra per l’ennesima volta di quanto siamo distanti dal prendere coscienza come corpo di sfruttati, come classe, la quale non è più quella del secolo scorso facilmente riconoscibile ma che si è allargata, diversificata e pure stratificata al suo interno soprattutto nella società occidentale. Il fatto che un corteo trasversale abbia ancora una divisione così netta per colore della pelle è una problematica da affrontare e risolvere in forma insieme. Quello che emerge maggiormente è quella sensazione di “timore reverenziale” dovuto, almeno in parte, all’essere nati e vissuti in un paese coinvolto nello sfruttamento capitalista dei paesi del sud del mondo, il quale è responsabile dell’eradicazione e del doppio livello di sfruttamento a cui sono costretti i migranti. Ciò è solo una parte del blocco politico e ideologico di cui soffriamo nella fase attuale e che dobbiamo sforzarci di superare per potere nuovamente delineare una via d’uscita alla barbarie moderna nella quale siamo immersi.


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