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COSCIENZA e SCIENZA

…Il continuo susseguirsi di crisi sistemiche: climatiche, sanitarie, finanziarie, militari, può essere declinato in due modi. Quello dominante, che fa della crisi una forma di governo, fondata su misure emergenziali, e il nostro, che vede nel susseguirsi di crisi l'urgenza di un cambiamento del modo di produzione. Muoversi in quest'ultima direzione implica mettere in discussione molti aspetti che sembrano elementari e ovvi ma sono essi stessi un esito degli attuali rapporti di produzione. Tra questi l'idea di coscienza e di padronanza, dell'io consapevole di sé stesso, una coscienza individuale ben diversa da quella collettiva…



di A.M.



Tra coscienza e scienza vi è un rapporto immediato. Ogni coscienza ha infatti la propria scienza. La coscienza individuale è materia della psicologia. Postulati fondamentali della psicologia sono che la costituzione della coscienza individuale (l'io) è possibile solo sulla base di una rimozione (l'Es) ed implica il riconoscimento della propria subalternità ad un ente astratto (il Superio). Proprio quest'ultimo postulato precisa come la coscienza individuale sia sempre la coscienza di una mancanza di azione, una coscienza reattiva determinata da credenze ed impulsi emotivi.

La coscienza individuale deve perciò delegare ad altre scienze tutto ciò che precede o trascende l'io individuale. Essa delega alla scienza dello Stato e dei suoi apparati la materia del Superio, mentre per quel che riguarda il rimosso ha bisogno di una scienza che non sveli nulla, la scienza dell'occulto. Attraverso di essa si può diffondere ignoranza, sostituendo alla conoscenza delle cause l'intuizione di presenze ignote.

La coscienza collettiva richiede un'altra scienza. Innanzitutto perché essa non si preoccupa dell'unità psicologica. Proprio per la sua natura collettiva essa è necessariamente mutevole e contraddittoria. La frammentazione e l'incompiutezza ne sono caratteristiche inalienabili. Deve risultare molto complesso, a chi ritiene di possedere o di dover costituire una propria identità individuale da cui non sia in nessun caso possibile prescindere, deve risultare difficile anche solo prendere in considerazione il caso in cui quel che uno pensa di sé e degli altri sia del tutto marginale e di scarsa rilevanza. Questo caso però esiste, e si dà ogni volta che ciò che si pensa non ha nulla a che fare con le opinioni ma si fonda su dati oggettivi. Che la conoscenza scientifica della realtà sia essa stessa frammentaria e incompiuta è da attribuire non ad un errore o ad una cattiva volontà, scoprendo così che la verità in effetti esiste ma è occulta, ma alla sua indissociabile relazione con la prassi.

La scienza e le conoscenze da essa prodotta non solo non sono mai avulse dalla realtà che pongono a loro oggetto di studio, ma esse agiscono su questa realtà. Ne sono figlie ma anche madri. Per questa ragione si dà una scienza superiore alle singole scienze, una scienza che ha a proprio oggetto la prassi stessa.

Questa è la scienza della coscienza collettiva. Per essa non vi è né un Es né un Superio, ma dati di fatto di cui venire a capo e compiti da assolvere. È pur vero che questa scienza, nella sua preistoria, ha fatto ricorso al trascendente e all'ignoto. Ma ormai le scienze filosofiche e teologiche hanno del tutto perso la loro presa sulla prassi, e fungono solo da reliquie per cultori di un glorioso passato. E non potrebbe essere altrimenti in un'età materiale dove ogni realtà è un esito prodotto, ogni condizione del tutto manipolabile, ogni premessa sopprimibile.

La scienza di una prassi così ampia da non poter lasciare nulla all'ignoto, da non poter delegare alcun fine a un potere trascendente, è la scienza della lotta di classe.

Essa produce non solo la conoscenza oggettiva del perché il mondo è così, ma anche l'azione che trasforma il mondo insieme alla sua coscienza collettiva.

Dovrebbe essere ormai evidente che immaginarsi la lotta di classe come lotta tra due contendenti (come ha fatto ad esempio Carl Schmitt), o le classi come entità sociologiche, non solo sminuirebbe la questione ma sarebbe anche fuorviante. Bisogna avere chiaro di cosa si parla quando si dice lotta di classe. Non è né una lotta tra popoli, né una lotta tra stati. La sua posta in palio sono le enormi forze produttive e la loro destinazione. Se esse devono essere usate per sfruttare il lavoro umano e la natura, o piuttosto per creare equilibri ecologici e benessere diffuso.

La scienza della lotta di classe è l'unica scienza che produce una conoscenza storica. Ciò è conseguenza del suo stesso oggetto, l'epoca moderna. Le scienze moderne hanno destoricizzato i loro oggetti di studio, riferendoli ad un tempo immobile, un tempo senza storia. La svolta epistemologia data dal principio di indeterminazione e dalla meccanica quantistica resta inapplicata, priva di una prassi corrispondente, poiché contraddice il fondamento stesso della modernità, il suo porsi alla fine e come fine della storia. La complessità non è un dato naturale di cui venire a capo - un simile modo di ragionare confermerebbe il principio moderno di un soggetto trascendente, il cui rapporto con la realtà è quello che si ha con una cosa che si possiede. Ad essere indeterminata è la relazione tra la realtà e il soggetto che agisce in essa, ad essere complessa è l'indistinguibilità che nasce tra chi agisce e il contesto dell'azione.

Solo la scienza della lotta di classe guarda alla modernità dal lato della storia e la vede come un'epoca, di cui coglie i limiti immanenti e la natura violenta.

La fine della modernità è il compito della lotta di classe, di una prassi che non pone al centro del suo interesse la stabilità del potere degli stati o l'accrescimento della accumulazione di ricchezza, che oggi assorbono l'attenzione e le risorse dell'intero pianeta. Piuttosto scoprire che ogni singola esistenza è legata in modo indissolubile a ogni altra esistenza, che ogni vita è vissuta nella storia, che ogni materia è materiale storico. Di questo si nutre la coscienza collettiva.


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