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CARNITARIANI VS NAZIECOLOGISTI

E’ risaputo e provato che gli allevamenti intensivi di animali destinati al consumo di massa siano impattanti a livello ecologico perchè altamente inquinanti, non solo dei territori che viviamo ma anche dell’aria che respiriamo. Inoltre sono i maggiori responsabili della deforestazione a livello globale. Da ultimo in mezzo a questa pandemia vi sono vari studi che mettono in correlazione lo sviluppo dei virus pericolosi per l’uomo. Nonostante tutto ciò l’Unione Europea sotto spinta della grande industria della carne non trova niente di meglio che finanziare campagne per “aumentare la competitività dell’industria Europea”


di L'Anelitè


“Diventa carnitariano!” (Become Beeftarian) è lo slogan della campagna finanziata dalla Commissione Europea per 3,6 milioni di euro, volta ad aumentare la competitività europea sul mercato delle carni bovine. Un invito rivolto a tutta la popolazione ad aumentare il consumo di carne, come se già non fosse sufficiente il consumo sovrabbondante (anche rispetto alle raccomandazioni mediche) stimato nei paesi europei in cui la campagna è nata e si è diffusa. Campagna per altro congruente con la nuova PAC (Politica Agricola Comune) che, nonostante vanti un presunto rispetto dell’ecosistema, in realtà continua a destinare i fondi a grandi aziende che praticano sfruttamento del suolo e allevamenti intensivi. “Non c’è niente di meglio della carne di manzo!” continua la campagna. Tradotto: non c’è niente di meglio di aumentare il profitto danneggiando la nostra salute e l’ecologia.

Non è la prima volta che la comunicazione mediatica segue questo tipo di retorica. In generale veniamo bombardati da campagne volte esclusivamente al profitto e alla competitività a discapito del benessere, della salute, dei diritti e della solidarietà. In quanto soggetti ambientalisti e consapevoli, è nostro dovere sentirci chiamati in causa e fornire una risposta. Al di là delle riflessioni sull’eticità del mangiare carne, è importante mettere alla luce come le campagne pubblicitarie e la retorica diffusa si impegnino costantemente a influenzare e manipolare, a mascherare la realtà e allo stesso tempo a dipingere gli oppositori come estremisti, o peggio, “Nazi-ecologisti”.

Partendo dalle pubblicità in generale, quelle che si vedono in televisione, sui social e per strada, c’è una regola base: non mostrare animali, in nessun modo. L’unica cosa che vediamo è il prodotto finito, senza avere la minima idea del sistema di produzione che vi sta dietro. È facile credere che non ci sia nulla di meglio della carne di manzo se si trascura completamente la realtà degli allevamenti intensivi, che sono l’unico vero modo per essere “competitivi sul mercato delle carni”. Alcune pubblicità si spingono addirittura oltre, mostrando scene idilliache di fattorie e animali felici che pascolano nei campi. Detto chiaro: nessuno di noi è un credulone, ma nel momento in cui vediamo queste scene scatta un senso di sollievo, non ci si sente poi così in colpa. Meno ancora se viene utilizzato il meccanismo del “greenwashing”.

Per fare un esempio: la pubblicità degli affettati “Fratelli Beretta” si apre con l’immagine in lontananza di un casolare al tramonto, con un bambino che corre in mezzo ai campi di grano. Segue uno stacco e un primo piano sulle fette confezionate di tacchino e la voce fuori campo dichiara: “Gli affettati prodotti con cura, senza antibiotici dalla nascita”. Ricordiamo che poco tempo fa uno dei fornitori di questa azienda è stato denunciato a causa delle condizioni in cui venivano trattati gli animali nei loro allevamenti intensivi. Negli allevamenti intensivi gli animali sono inevitabilmente imbottiti di antibiotici, per evitare che, data la stretta vicinanza, si trasmettano tra loro le malattie. Niente campo di grano e casolare all’orizzonte insomma.

Allo stesso tempo si verifica un secondo fenomeno, opposto ma parallelo, e forse ancora più pericoloso. Si tratta del modo in cui queste compagnie attaccano il nemico, cioè non solo vegetariani e vegani, ma chiunque abbia atteggiamenti e porti avanti battaglie ecologiste. Non si tratta solo ed esclusivamente di parodie (come chiaramente è l’invito al carnitarianesimo), ma di vere e proprie accuse. Da un lato l’ecologista o il vegetariano è rappresentato come una sorta di triste figura solitaria che si perde i piaceri della vita, preso in giro per i “sacrifici inutili” che fa, dall’altro diventa il perfido detrattore dell’industria che produce carne, fino a trasformarsi in un tiranno, un nazista, anzi Nazi-Ecologista. Questa retorica è ancora più pericolosa, perché non ci sono dati che si possono riportare come controprova e perché è davvero diffusa e inconsapevole, anche tra chi potrebbe riconoscere i valori dell’ecologia.

Un primo esempio è la campagna “Ceci n’est pas un steak”, lanciata da un gruppo di organizzazioni europee che rappresentano il mondo zootecnico. Si tratta di una campagna contro la denominazione dei prodotti vegetariani e vegani più comunemente definiti “Burger vegetali”. Sul sito di “eurocarni” si legge che utilizzare termini come “Hamburger” o “Wurstel” per le alternative vegetali è:

Posizione criticabile sotto il profilo nutrizionale e temibile per le possibili conseguenze economiche e sociali. Si rischia di confondere i consumatori, di indirizzarne le scelte, di condizionarne gli acquisti. Con in più il rischio che storie millenarie come quella della salsiccia vadano perse.

Tralasciando le esagerazioni, si può notare una certa attitudine a vedere pagliuzze negli occhi dell’altro, se si considera quanto appena detto sulle pubblicità delle carni. Tuttavia, la campagna procede ad accusare di “dirottamento culturale” o addirittura di danneggiare il consumatore, proponendo un prodotto con un apporto nutrizionale diverso da quello “promesso dal packaging”.

Ma anche cambiando nome a quello che mangiano, vegetariani e vegani non dovrebbero sentirsi la coscienza a posto. “Nazivegani” è un neologismo coniato su “Il Giornale”, più comunemente sostituito da “vegani estremisti”, per indicare chi propone e argomenta al pubblico questa scelta alimentare. Insomma: un vegano o un vegetariano che va a parlare a un carnivoro del perché sarebbe meglio non mangiare carne è associato ad un nazista, mentre l’industria alimentare delle carni che grida ai quattro venti di “diventare carnitariani” e che ci bombarda costantemente di pubblicità-menzogne no. Come sei ragionamenti di un individuo avessero un potere coercitivo mille volte superiore all’intero sistema.

Il ragionamento si può allargare e non riguarda esclusivamente i vegani. Il movimento dei “Difensori dei Diritti Animali” (ARA) è sempre stato ed è tutt’ora bollato con l’aggettivo “terrorista”. Tom Regan, leader intellettuale del movimento, fa una descrizione estremamente accurata dei diversi escamotage adottati dai giornali (finanziati tra l’altro da industrie biomediche che sperimentano su animali o agroalimentari che si servono di allevamenti intensivi). Tra questi figurano persino messe in scena di finti attentati ad opera di infiltrati. Senza arrivare a casi così estremi (documentati e smascherati), è molto più diffusa la retorica secondo cui esisterebbero due modi per difendere i diritti animali: il primo è “trattarli bene”, approccio ragionevole, il secondo è quello dei “terroristi”, ovvero che effettivamente decidono di agire contro il sistema di sfruttamento.

Ma possiamo allargare ancora. In questo caso sono i movimenti ambientalisti in generale: il dipartimento per la sicurezza nazionale statunitense ha bollato un gruppo di ambientalisti come “estremisti”, mettendoli allo stesso piano dei nazionalisti bianchi e dei responsabili degli omicidi di massa. La polizia antiterrorismo del Regno Unito ha inserito Extinction Rebellion nella lista delle sigle “ideologicamente estremiste” dopo azioni di protesta e di blocco dei trasporti. L’idea, quindi, è che il movimento ambientalista sarebbe un rischio per la sicurezza, in quanto troppo estremo. Di nuovo si verifica la dinamica particolare per cui chi minaccia il futuro dell’umanità devastando l’ambiente accusa chi protesta di essere un pericolo.

La lotta tra i promotori del carnitarianesimo e i naziecologisti non è una lotta ad armi pari. Da un lato c’è un intero sistema economico politico e sociale dominante che pervade la vita quotidiana di messaggi falsi e che si spaccia per buono, ragionevole, positivo e felice. Dall’altro c’è chi si oppone a questo sistema e viene per questo ritenuto un attentatore alla libertà individuale e un nemico pubblico, o nella migliore delle ipotesi un poveretto. Per uscire da questa dinamica è necessario prendere consapevolezza di questo tipo di retorica e di ciò che maschera, rendersi conto che le cose non stanno come ci vengono presentate da chi ne trae profitto. Insomma, che l’ecologia non ha niente a che vedere con il nazismo e che la carne di manzo da allevamento intensivo non è esattamente il massimo.

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