- La vera storia del Fascista e della Pistola -
Non un semplice imbrattatore compulsivo ma un fascista radicalizzato che gira armato di pistola e munizioni, fermato fortuitamente dalle compagne e dai compagni del Laboratorio Aq16. In questo articolo ricostruiamo la vicenda di cui, anche da quanto si legge sui media locali, sono stati decisamente sottostimati il portato politico delle azioni compiute da questo individuo e la minaccia sociale che esse rappresentano.
Ieri siamo stati in via Cecati, per restituire al quartiere uno spazio pubblico oltraggiato da scritte fasciste. Abbiamo portato una festa partecipata e ricca di attività in una zona che per molti mesi ha visto i propri muri letteralmente invasi da celtiche, svastiche, rune, la sigla dei NAR, riferimenti alle camere a gas e allo ZiklonB per gli Antifa, minacce di morte e odio anti-partigiano erano ciò che quotidianamente la città trovava scritto sui muri immediatamente dopo che gli stessi venivano ripuliti da compagni e compagne. Mesi di azioni e passeggiate pubbliche per tenere puliti i quartieri, tutti, perché le stesse scritte erano presenti anche in altri punti della città, fino ad arrivare sopra i muri e le porte del Laboratorio AQ16. Quell’episodio è stato per noi il punto di non ritorno di tutta questa situazione che si stava trascinando da troppo tempo e che nonostante il lavoro quotidiano delle realtà antifasciste di base, proseguiva incessantemente in un quadro di sottovalutazione generale da parte di istituzioni e questura.
Due settimane fa compagni, di ritorno alle macchine dopo una serata, hanno trovato il fascista intento a riscrivere sopra le cancellature praticate il giorno precedente. Avevamo già idea che fosse un solitario, radicalizzato chissà dove e come, ma non direttamente legato ad organizzazioni politiche neofasciste, organizzazioni che al momento non sono presenti in città. Ma quello che non potevamo immaginare è che questo fascista fosse armato, pistola carica nella fondina e caricatore di riserva a portata di mano. Solo la grande freddezza e prontezza dei compagni che si erano avvicinati per intimare al fascista di smettere ha evitato il peggio. Parliamo di morti o feriti da arma da fuoco. Il fascista ha provato ad estrarre la pistola per usarla contro i compagni ma è stato atterrato e disarmato dell’arma caduta a terra. Dopo avergli fatto capire che avrebbe dovuto smettere con le scritte i compagni si sono allontanati buttando via la pistola. Il fascista da vigliacco quale è ha immediatamente denunciato un’aggressione a scopo di rapina della pistola che ha fatto partire le indagini della questura e aprire un fascicolo in procura per rapina aggravata. Nei giorni successivi la pistola è stata ritrovata dagli inquirenti e le indagini in merito all’accaduto sono al momento ancora in corso. Fin qui il racconto dei fatti per come si sono svolti, ma ciò che vogliamo sottolineare è altro.
Periodicamente scritte, provocazioni, atti intimidatori capitano anche in questa città. Il nostro centro sociale è stato preso di mira diverse volte nel corso degli anni, con scritte, atti vandalici, attentati incendiari ecc. Come sono state prese di mira le persone della nostra organizzazione, per strada o nelle scuole. Ogni volta che si è verificato un episodio simile, l’opinione pubblica e le autorità hanno sottostimato o sminuito l’atto in sé, che fosse una scritta o un atto vandalico o una minaccia. Questo è avvenuto in tempi non sospetti in cui le organizzazioni di estrema destra cercavano di accreditarsi all’interno di una dimensione sociale, per riqualificare un piano politico di intervento.
Tuttavia, in questo momento, in cui effettivamente la matrice di questo vulnus sociale governa le politiche nazionali (ed europee) riteniamo non si possa nascondere sottotraccia l’iperbole vettoriale che rende norma aggressione, oppressione, discriminazione e violenza. Abbiamo bisogno di sapere dove, come e quando è avvenuta la radicalizzazione di questo individuo, perché può apparire inedita per la nostra città, ma presenta delle consuetudini che negli ultimi anni hanno assunto una certa linearità. Noi rifiutiamo la teoria del “caso isolato” del lupo solitario, del mitomane ecc. Non potremmo fare diversamente dopo aver messo in fila tutti i “casi isolati” di questi ultimi anni: Firenze, Macerata, Milano, tanto per citarne alcuni.
Se le realtà organizzate di estrema destra si ritirano a favore della governance rappresentativa, ciò non avviene per quei frammenti sociali, singolari, organizzati o meno, che si nutrono e vengono nutriti dalla mucillagine ideologica che pone l’umano contro l’umano, il forte contro il debole, il povero contro il più povero. Quei soggetti che in qualche modo interpretano la tendenza neoliberiale odierna. E la interpretano a pieno, tronfi di legittimità e giustezza. E’ proprio l’accettazione della tendenza il problema. Quella stessa tendenza sposata da Luca Traini che ha sparato addosso a otto persone a macerata, dal militarista-survivalista di Capitol Hill, dall’omofobo, dal sovranista, ecc ecc. Altro che “povero disgraziato”, qua stiamo affrontando un “soggetto” tipico. Un fenomeno, che più che di atti straordinari si alimenta e agisce un odio ordinario. E lo fa armato. Un soggetto preparato a ferire, sparare, uccidere il proprio nemico.
Nonostante abbia preso di mira proprio Aq16, battezzando gli antifascisti reggiani come proprio nemico, nulla è stato fatto per indagare e contrastare le sue azioni. Nulla. Eppure in un qualche modo lui ha “indicato la sua controparte”. Quella che gli si opponeva. Ma nel silenzio generale e nell’inazione, squalificante probabilmente del fenomeno, ha agito indisturbato fino a che le compagne e i compagni non l’hanno affrontato. Fortuitamente senza danni.
Ci rendiamo conto che questo fascista è andato armato a fare delle scritte alla sede di una realtà dichiaratamente antifascista? Con allusioni piuttosto chiare e dirette all’espressione neofascista stragista che ha caratterizzato gli anni passati? Ci rendiamo conto che armi da fuoco e omicidio politico stanno dentro il perimetro del suo lessico politico?
Nonostante questo non è stato fermato prima. Non è stato identificato o bloccato prima. Accidentalmente le compagne e i compagni che hanno deciso di contrastare la sua opera propagandistica nei quartieri si sono trovati a doverlo affrontare, letteralmente sotto la minaccia di una pistola, scongiurando un omicidio o un’aggressione.
A Reggio Emilia va detto, retorica e riproduzione di compagini di estrema destra non hanno mai trovato spazio, proprio perché ogni volta si è affrontato il problema, mobilitandosi pubblicamente e collettivamente, individualmente e nell’agire quotidiano, per contrastare ogni tentativo pubblico o clandestino di radicamento sul territorio. Va dato atto alle antifasciste e antifascisti di questa città, in prima battuta della nostra organizzazione, di essere sempre stati pronti a contrastare ogni tentativo politico di insediamento dei fascisti. Sia quando prendevano di mira le istituzioni democratiche nate a seguito della Resistenza, sia quando prendevano di mira compagne e compagni, o quando, per esempio, sempre sui muri, attaccavano le compagne dei collettivi studenteschi nelle scuole.
Oggi però ci troviamo davanti ad un fenomeno più articolato. Un fenomeno che siamo riusciti a identificare e contrastare, fisicamente e politicamente, solo attraverso la mobilitazione sociale di questi ultimi mesi. Questo tuttavia non basta. Poteva essere fermato prima. Doveva essere fermato prima. Per noi il punto di non ritorno è stato quando ha attaccato il Laboratorio Aq16, ma andando a ritroso, ci chiediamo quale sia il punto limite per questa città? Doveva scapparci il morto affinché si prendesse sul serio la situazione? O affinché si prendessero provvedimenti anche preventivi per sottrarre terreno politico a questi soggetti? Non bastava l’attacco ad una sede dichiaratamente antifascista per accendere un allarme sulla pericolosità e intenzionalità di questo soggetto? Per accendere un faro sulla natura del problema che ci troviamo ad affrontare?
E’ chiaro che oggi le politiche governative e le “sparate” che le accompagnano diano spazio a determinate iniziative o attitudini. Ma ciò non vuol dire che vadano tollerate passivamente. Tempi duri sono e tempi duri verranno. Vogliamo affermare che almeno a queste latitudini, in questa città, ci sono compagne e compagni pronte a fare la propria parte, ad arginare pubblicamente ogni attacco o minaccia alla tenuta sociale e antifascista dei nostri quartieri e della nostra città, mettendo in gioco anima e corpo. Ma questo non basta. Sono forti gli anticorpi nella nostra città, ma ancora di più, in questa fase storica, tutte le parti sociali e politiche di questa cittadinanza devono essere in grado di riconoscere la minaccia, affrontarla e annientarla, prima che essa sospinga la propria azione a tragiche conseguenze.
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